Pittori Lomellini

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In copertina:

Giovanni Battista Garberini

Velario del Teatro Cagnoni di Vigevano

Particolare centrale della: Festa sul Ticino

Introduzione

L'impegno assunto dal nostro Club di pubblicare gli atti del «Convegno sui Pittori della Lomellina (1800-1900), svoltosi a Vigevano il 2 giugno 7984, si è concretizzato in tempi relativamente brevi, Esso era nato dal desiderio di poter ricordare, in modo durevole, un avvenimento ritenuto almeno interessante l'occasione fornita al recupero della cultura artistica locale. La lusinghiera partecipazioni del pubblico presente e di chi successivamente ha fornito integrazioni e suggerimenti ha trasformato l'evento in un punto di partenza per ulteriori ricerche. Questa pubblicazione si offre, perciò, come avviamento stimolante all'eventuale contributo degli appassionati di pittura locale che ritengono opportuno addentrarsi nella riscoperta dei suoi fondamentali valori. Del resto, per il carattere interdisciplinare che la stessa cultura possiede, l'approfondimento di un aspetto può consentire una conoscenza del passato lomellino, visto come un modo di vivere e di realizzarsi in quest'angolo di Lombardia. In tal senso, il nostro Club, ritiene di aver raggiunto una sua importante finalità, seguendo fedelmente l'ispirazione di un suo socio indimenticabile: il prof. Giuseppe Masinari. Nessuno più di lui favorì il recupero della cultura lomellina anche nei suoi aspetti popolari, dedicandole saggi talmente profondi da ottenere una risonanza internazionale. Alla sua memoria il Rotary Vigevano Mortara desidera quindi, dedicare questa raccolta testimonianza significativa di quanto persista nelle nostre azioni il suo stimolante insegnamento. Egli, infatti, condusse la sua campagna di ricerca sul campo, in spirito di servizio alla gente della sua tara, la quale può riconoscersi anche oggi nelle sue pagine, per alcuni valori antichi che interagiscono con quelli che ogni nuova generazione sa creare. I debiti di riconoscenza, in questi casi, sono sempre numerosi, e non è possibile nominare tutti coloro ai quali il nostro Club desidera far pervenire i suoi più sentiti e sinceri ringraziamenti per l'aiuto ricevuto, Tuttavia esso ritiene doveroso ricordare il dott. Claudio Malberti, collaboratore artistico del Sole XXIV Ore, valido moderatore del Convegno, i cui interventi non sono stati importati nella raccolta per la loro predominante funzione di coordinamento. Una menzione speciale va al Comune di Vigevano che ha dato il suo apporto alla riuscita della manifestazione offrendo una ospitalità davvero partecipe. Una profonda gratitudine è riservata ai collezionisti, al pubblico ed a chi successivamente ci ha seguiti, per lo slancio impresso, con la loro passione, al miglior esito dell'avvenimento e dei suoi sviluppi, Alla Banca Popolare di Vigevano spetta, infine, il merito di aver riconosciuto per tempo, con il suo cospicuo contributo, l'importanza della pubblicazione per la cultura lomellina,

ROTARY CLUB VIGEVANO-MORTARA

La finalità principale de1 Rotary è I rafforzamento dell'Amicizia attaverso l'approfondimento della conoscenza reciproca ma non si può avere una conoscenza dell'Uomo senza quella dell'ambiente a cui appartiene. Questo rapporto si esprime con sincerità ed immediatezza soprattutto nell'ambito artistico; in esso i1 sentimento lega talmente l'Uomo al suo territorio da caratterizzarne l'originalità. Perciò esiste anche un modo Lomellino di essere Artista, pur contribuendo alla ricerca estetica Universale, che ne resterebbe sinceramente impoverita se non si potessero ricuperare le preziose sfumature derivanti dagli influssi locali. In tal senso, a livello nazionale, si sta cercando di riscoprire nel passato valori in gran parte ancora sconosciuti perché condizionati dalla carente possibilità di diffusione. Sulla scia di questo orientamento il Rotary Vigevano-Mortara ha ritenuto doveroso valorizzare un patrimonio artistico di particolare importanza come quello trasmessoci dai Pittori Lomellini degli ultimi due secoli. Tale iniziativa vuole essere soltanto uno stimolo e, abbracciando un periodo piuttosto esteso, prelude a necessari approfondimenti che speriamo possano, al più presto, essere avviati per 1e sollecitazioni emerse da questa occasione. Il periodo considerato è stato scelto per 1a particolare ricchezza di Artisti che 1o caratterizza e la minore difficoltà con cui 1o si è potuto documentare, pur essendo stato laborioso il reperimento del materiale ad esso relativo. La preferenza per i tredici pittori che verranno presentati oggi è dovuta al fatto che essi hanno frequentato una Scuola d'Arte, conseguendone un Diploma, e sono Artisti scomparsi che hanno dedicato quasi tutta la loro vita alla Pittura. La dimensione del nostro impegno ci ha costretti a limitare il numero dei Pittori da ricordare ma sappiamo che tanti altri avrebbero meritato di essere inclusi, come i Vigevanesi Ferdinando e Cesare Villa, Luigi Barni, Maurizio Cogliati, Francesco Mazzacchi, Bice Nani, i Garlaschesi Luca Merlo e Francesco Sampietro, il Semianese Annibale Ticinese. Lasciamo ad altri l'onere di riscoprire la vita e le opere di questi Artisti e di quelli che non abbiamo menzionato, come pure l'impegno di far conoscere i pittori ancora viventi. Tra gli Autori considerati abbiamo voluto ricordare Vittorio Ramella che pur avendo svolto, per la sua breve esistenza, una attività non copiosa, ha profuso in essa la sua poliedrica cultura interamente dedicata alla Sua Città. La nostra iniziativa proseguirà dopo il Convegno sino alla pubblicazione degli atti e del materiale fotografico che verranno raccolti in un volume la cui uscita dovrebbe verificarsi nel prossimo periodo natalizio. Nel reperimento del nostro materiale ci siamo avvalsi delle ricerche storiche sui Pittori Vigevanesi effettuate dal Conservatore della Pinacoteca di Vigevano, il Sig. Giuseppe Franzoso. Prima di concludere questa breve introduzione vogliamo esprimere la nostra gratitudine a tutti gli Amici del Rotary Club Vigevano-Mortara, specialmente a Biffignandi, Cassino, Cazzani, Giglia, Orlandini, ma soprattutto a Magnoni e Scotti perché a loro si deve la riuscita di questo convegno. Desideriamo, infine, ringraziare in modo particolare l'Amministrazione Comunale ed il Sindaco di Vigevano per la gentile ospitalità riservataci con l’utilizzo della prestigiosa Sala del Consiglio Comunale .

dott. Pier Enrico Castellotti Presidente Rotary Club di Vigevano - Mortara

Rivolgo il mio saluto e quello dell'Amministrazione Comunale agli organizzatori, a tutti voi, ai relatori e voglio solamente sottolineare qualche ragione per la quale, con molto piacere, abbiamo

ritenuto di concedere l'uso delia Sala Consiliare per questa iniziativa. Questo fatto potrebbe apparire abbastanza formale, ma in realtà è motivato.

Ho già detto in altre occasioni, e ripeto stamane, alcune brevissime considerazioni. Noi riteniamo che iniziative di questo tipo, momenti di approfondimento culturale, vadano da parte dell'Amministrazione Comunale aiutate e che l'Amministrazione Comunale medesima debba considerare nella giusta portata quelle espressioni del1a società civile in cui si manifestano spinte di interesse culturale. Voglio dire che non è pensabile che il Comune possa da solo assolvere a tutte le molteplici esigenze di arricchimento, approfondimento e ricerca culturale di cui si avverte l'esigenza in campo cittadino. È nostro compito, non solo realizzare tali iniziative, ma anche stimolare, raccogliere, ordinare, dirigere indirettamente il movimento spontaneo ed organizzato che si manifesta nella società .,. Credo che in questi anni noi, mi consentirete, abbiamo cercato di compiere, pur nei limiti che ricordavo prima e che sono molti, di dare un impulso alla ricerca e alla conoscenza della nostra cultura. C'è ancora molto da fare, scoprire, indagare. Abbiamo bisogno, appunto, di tutto un convergere di azioni delle organizzazioni che sono sensibili a questo discorso. Vigevano e la Lomellina sono aree poco considerate da1 punto di vista dell'interesse culturale. Viceversa credo che questo non corrisponda alla verità dei fatti. I limitati sforzi che abbiamo compiuto in questo tempo, in questi anni, già dimostrano il contrario Non posso non richiamare la memoria il Convegno di Studi letterari su Lucio Mastronardi, il Convegno Internazionale di Studi sulla presenza e funzione del Caramuel nella nostra città e oltre la nostra città: essi testimoniano che appunto c'è molto da approfondire e da studiare. Vigevano, in particolare, poiché di Vigevano sono Sindaco, ha bisogno di questo, anche per ragioni più ampie. In questa fase del1a sua storia, più che in altri momenti, ha la necessità di spingersi fuori da un certo isolamento per aprirsi di più alla società che sta intorno, alle realtà che la circondano. Anche la cultura è utile per raggiungere questi obbiettivi. Ecco dunque che aiutare in qualche modo, prendere atto con piacere di momenti come questo, è per noi ragione di soddisfazione. Mi auguro che si possano organizzare altre manifestazioni che consentano a Vigevano e alla Lomellina di farsi conoscere maggiormente, anche per i loro meriti artistici, culturali e storici.

Carlo Santagostino Sindaco di Vigevano

Mentre ringrazio gli amici de1 Rotary per avermi invitata a questa pregevole manifestazione, mi è gradito sottolineare il plauso che la mia Associazione indirizza all'iniziativa del Rotary. Ci sembra infatti che essa, essendo diretta a far conoscere la vita e le opere degli artisti dell'800 vigevanese e lomellino, apra una stagione che potremmo definire in linguaggio poetico «delle rimembranze». Per troppo tempo infatti è stato negletto il ricordo, per troppi artisti si è scordato di studiare ed analizzare e dare continuità a quello splendido periodo rappresentato nella fase iniziale de1 secolo che stiamo vivendo. Le ricerche storiche che l'Informatore Vigevanese sta compiendo alla ricerca dei fenomeni sociali e culturali che hanno generato Vigevano d'oggi, si uniscono alle iniziative che la Pro Loco Vigevano sta effettuando o ha in animo di effettuare. Siamo soliti, infatti, dire, che talvolta sembra che 1a storia di ieri ci stia cascando addosso, ci rincorra facendoci sentire la propria esigenza, che la si ricordi, la si tolga fuori dagli scaffali, si stacchi dalle pareti delle quadrerie dove sta appesa da troppo tempo. L'autorità politico-amministrativa cittadina è generalmente limitata ad indicare strade, stradette e vicoli a nomi di questi pittori, scrittori, benefattori, di quanti hanno reso illustre il nome di Vigevano. Ad alcuni invece, non è stata nemmeno dedicata una strada e l'oblio su di loro è totale. Giovan Battista Garberini, il più grande dei pittori vigevanesi che ha donato a questa città opere mirabili, da quelle che figurano nel Duomo, a quelle che fanno parte della Pinacoteca dell'Ospedale, di due stupendi velari del Cagnoni, e per finire con quegli squisiti ritratti sotto vetro che si possono ammirare nel nostro Cimitero, questo artista umile e grande che visse con estrema modestia e che donò, ne1 1896, tutti i propri risparmi, 64.000 lire, all'Ospedale Civile di Vigevano, è forse stato ricordato con qualche pubblicazione degna del suo operare, con qualche mostra che raccogliesse la maggior parte della sua produzione sparsa ovunque per Vigevano? Ecco la risposta. Due preziose miniature con l'effige del Cav. Pisani e sua moglie Dorma Adelaide Cornaggia Castiglioni, dipinte dal Garberini, che erano appese fino a poco tempo fa sulla parete della sala dell'ospedale, nella quadreria, sono scomparse, probabilmente sottratte furtivamente. Non solo la dimenticanza, quindi, ma l'incuria nel proteggere e nel conservare le opere degli artisti vigevanesi. Dopo tante critiche concludo con una proposta di pacificazione e di collaborazione rivolta agli amministratori pubblici della città di Vigevano. Abbiamo iniziato dicendo che il Convegno di stamane dà inizio ad una stagione, quella del ricordo, della rivalutazione del passato di Vigevano e del nostro territorio. La Pro Loco Vigevano ha in animo di predisporre, in collaborazione con I'USSL una mostra, nel prossimo autunno, nella quale verranno presentate alla città le opere più pregiate che fanno parte del patrimonio dell'Ospedale Civile, Una mostra che potrebbe allargarsi e comprendere anche le opere degli altri ospedali lomeilini, Mortara e Mede. In un secondo tempo la nostra associazione cercherà di allestire una esposizione, la più ampia possibile, dedicata alla vita e alle opere di G.B. Garberini. Nel contempo, la Pro Loco, desidera dare l'avvio ad un progetto di discussione e di studio finalizzato al restauro della nostra piazza Ducale. Per tutte queste iniziative abbiamo bisogno della collaborazione e della benevolenza degli amministratori comunali e pubblici in genere. Siamo certi che non ci verrà negata.

Margherita Natale Presidente Pro Loco Vigevano

I pittori Vigevanesi e della Lomellina a cavaliere di due secoli

Una considerazione preliminare di notevole importanza, dalla quale, perciò, non si deve in alcun modo prescindere, è che di Vigevano e della Lomellina, sotto il profilo artistico, ci si è sempre interessati assai poco, al punto che ancor oggi, per molti, è un'autentica sorpresa 1° scoprire, nel centro storico di Vigevano stessa, quel raro splendore e quell'autentica rivelazione che è la piazza Ducale. Se dunque persino eccezionali documenti che risalgono addirittura a quel periodo bramantesco-leonardesco che in Lombardia segnò i più alti raggiungimenti della civiltà umanistica, sono così poco noti, si può facilmente dedurne a quale livello di non conoscenza siano ridotti i pittori di detta zona fioriti tra l'Ottocento e il Novecento, in un periodo assai delicato per la storia della nostra pittura. In effetti si può dire che sin quasi a oggi le uniche testimonianze della pittura ottocentesca lomellina note anche al di là degli stretti confini degli specialisti, fossero i ritratti mondani o i nudi morbosamente seducenti (perlomeno nelle intenzioni) di Giuseppe Amisani: un fatto di moda, quindi, surrogato dalle inquietudini erotizzanti dell'epoca liberty, il cui sostegno estetico si riduceva al dannunzianesimo oramai largamente diffusosi pure in provincia. Ma è chiaro che il fenomeno non nasce di qui, bensì da quella più vasta provincia che, in molti casi, è pressoché tutta l'Italia di quel tempo: una crisi di cultura che investe in maniera massiccia le arti figurative e a cui non possono minimamente sopperire le affermazioni nazionalistiche degli scrittori di cose d'arte degli Anni Venti, Trenta e Quaranta, primo fra tutti di un Ugo Ojetti che finge di ignorare la portata dell'autentica rivoluzione romantica e si riduce a contrapporre all'universalità della rivolta impressionista il timido riformismo dei pur deliziosi macchiaioli o alla concreta ambizione di una «grande peinture » di Renoir il morbido

pathos tra naturalistico e familiare di Armando Spadini In realtà - è un concetto che sta alla base delle mie convinzioni in merito -l'Italia ha mantenuto un cosiddetto primato nelle arti del disegno sin quando l'arte pur se praticata nelle botteghe artigianali- era, per effetto dell'estrazione sociale dei suoi committenti (i principi e la chiesa, in primo luogo), un fenomeno aristocratico. Quando l’illuminismo portò un primo attacco a tale situazione e la rivoluzione francese compì l'opera dischiudendo la via al futuro trionfo della borghesia, arte e cultura iniziarono un processo di democratizzazione praticamente d'impossibile realizzazione dove pressoché inalterati rimanevano i retaggi della controriforma. Perciò l'arte italiana riconobbe ;a sua estrema stagione di gloria nel neoclassicismo che presto si convertì in accademia; quest'ultima finì poi per irretire un fermento quale quello romantico e, da quell' aperta ribellione a ogni forma involutiva e statica ch'esso era, lo convertì a uno «pseudo romanticismo accademico» che si limitava a mutare i repertorio senza operare alcuna revisione nel più profondo tessuto della cultura, (E quanto parallelamente avviene nel risorgimento politico che invece di affrontare problemi connessi con le esigenze di rinnovamento delle strutture sociali ed economiche adatta i mutamenti dinastici alle convenienze d’un passaggio del potere economico dalla nobiltà feudale all'alta borghesia con ambizioni di blasone, senza tuttavia spostare gli squilibri derivati dalle perduranti sperequazioni) . Gli autentici rappresentanti del romanticismo pittorico italiano (Piccio, Fontanesi, Toma, per fare qualche nome e non Hayez e affini che lo sono soltanto in relazione alle scelta di un repertorio medioevaleggiante anziché greco romano) sono quelli che, accogliendo le istanze di una libertà espressiva capace - all'occorrenza- di superare i limiti accademici, dischiudono altresì le porte all’interpretazione

emozionale del vero, per cui da noi non vi è affatto antitesi fra romanticismo e verismo o realismo, in quanto la presa di contatto con l'oggettivo quotidiano ha luogo in un clima di liberazione dai ceppi delle convenzioni e quindi - paradossalmente - il vero o il reale offrono spazio allo scatenarsi della fantasia, ovviamente in quegli artisti che posseggano le qualità necessarie a così ardita operazione di riscatto dei valori dell’immaginazione. Grava dunque su tutta la nostra cultura artistica (facendo ne eccezione, al principio del secolo, la poesia di Foscolo e Leopardi e, per quasi tutta la durata del secolo medesimo, la musica operistica) la cappa di un provincialismo che ci esclude ai grandi fatti in gestazione nell'Europa centrale, in Francia, in Inghilterra. Perciò l'analizzare con qualche attenzione quali siano le reali condizioni della provincia italiana vera e propria costituisce un dato prezioso e assolve al compito di arricchire le nostre specifiche conoscenze in merito e ci permette una verifica dei valori anche e soprattutto in rapporto a quegli artisti che, per aver respirato meno degli altri un'atmosfera così limitatamente provinciale, avevano di stolto da sé stessi un'attenzione che, da parte degli amatori e del pubblico locali, era rivolta proprio ai più integrali rappresentanti delle circoscritte ambizioni della provincia medesima. Ancora una premessa per ricordare quale ruolo determinante esercitò sulla formazione di più di un'artista vigevanese o lomellino l'Istituto d'Arti e Mestieri «Vincenzo Roncalli», della cui sezione di pittura fu direttore proprio il Garberini, sulla cattedra del quale si avvicendarono poi altri artisti che prenderemo in esame; e ancora per sottolineare il fatto che i più cospicui artisti provenienti dalla zona frequentarono Brera o l'Accademia Albertina e che perciò da Milano e da Torino trassero lo spunto per partecipare attivamente alle vicende della pittura italiana del secondo Ottocento e dei primi decenni del nostro secolo. Rifacciamoci, pertanto, a quel momento che è, a mio avviso, piuttosto critico, in quanto i confini ideologici ne appaiono alquanto confusi e le distinzioni fra neoclassicismo e romanticismo si vengono a smarrire nel comune pentolone dell'Accademia. In

compenso, pur se quest'ultima tende a sopire ogni slancio eversivo e ad appiattire nel conformismo delle acquisite tradizioni quanto sarebbe forse potuto esplodere nella generosa imprudenza di uno spirito rivoluzionario, i suoi meriti comunque li ebbe: e, furono quelli di mantenere intatta la dignità del mestiere, di spingere verso una perfezione tecnica che coincise col possesso più completo degli strumenti di cui parimenti fruirono vuoi i geniali inventori dei nuovi linguaggi espressivi, vuoi i modesti ma decorosi continuatori di un costume acquisito. Giovan Battista Garberini , anche se allievo di Luigi Sabatelli a Brera, come ritrattista divenne - nei suoi onesti e corretti limiti - l'Hayez di provincia; collegandosi in maniera ineccepibile agli ideali dell'Accademia, egli preparò pure le glorie decorative vigevanesi trasmettendone il germe - col suo insegnamento presso la scuola d'arte dell'Istituto Roncalli - all'Ottone e al Bocca. Fu questo uno tra i suoi meriti più specifici, in quanto i suoi ritratti documentano in maniera ineccepibile il carattere dell'alta borghesia vigevanese e le sue rievocazioni storiche rientrano perfettamente nel clima di un romanticismo melodrammaticamente scenografico di contenuto patetico. Bisogna peraltro aggiungere che, oltre a svolgere la preziosa funzione didattica che dicemmo, in più di un caso egli offrì pure tangibili aiuti ai suoi allievi perché potessero proseguire i propri studi. Ambizioni e orientamenti decisamente diversi da quelli del Garberini furono invece perseguiti da Ambrogio Raffele : allievo del Fontanesi all'Accademia Albertina di Torino, prima che il pittore emiliano partisse per il Giappone, Raffele cercò inizialmente di assimilare i motivi stilistici e i contenuti poetici del maestro. Passato poi sotto la guida del Gastaldi, seppe non farsi completamente irretire da un romanticismo convenzionale quale quello che discendeva da Massimo D'Azeglio e conservò una propria attitudine che 1o spingeva a cogliere della natura le emozioni più sottili. Molto amico di Marco Calderini, ebbe in comune con lui una tendenza verso il verismo che si arricchì al

contatto con la pittura dell'americano, operoso in Europa, John Sargent; l'amore per la montagna, infine, lo portò a percorrere una strada che ebbe qualche coincidenza (più per il soggetto l'ambientazione che non per le soluzioni tecniche) con l'opera tarda di Emilio Longoni. Si giunge così a Casimiro Ottone , il cui nome strettamente si lega a opere di carattere decorativo. Oggi parlare di un pittore come di un decoratore che sapesse abbinare a un tal genere di lavoro incombenze ancora più umili, così da trasformarsi, all'occorrenza, in imbianchino o poco più sembra sminuire la figura dell'artista. Per contro, il pittore che attraverso il mestiere sappia decantare il proprio linguaggio così da nobilitare persino l'umiltà del lavoro, convertirsi in un autentico artista al quale bisogna concedere ben più che una distratta attenzione. Ottone realizzò tale intento non solo in quelle nature morte che costituiscono l'aspetto pittoricamente più impegnato della attività, nella quale sembrò addirittura interpretare in termini di più integrale verismo il romanticismo ispirato di uno Scrosati, ma, frequentando Brera sotto la gurda Bertini, raggiunse anche nell'ambito della decorazione risultati assai ragguardevoli, ed è questo un argomento quale avremo l'occasione di ritornare parlando più oltre del suo collega e amico Luigi Bocca. Atro pittore di non trascurabile interesse Ferdinando Bialetti . Allievo a Torino del Gastaldi e del Gamba dedicò alla pittura decorativa sia religiosa che profana ritrattista di indiscutibili qualità, nonché autore di nature morte nelle quali sembra di ritrovare quel grasso spessore della pennellata e quella succosa consistenza del colore che caratterizzarono Lorenzo Delleani; e ciò sta a dimostrare come la Lomellina, oltre che dell'influsso lombardo, risentisse notevolmente pure di quello piemontese. Comunque il Bialetti, il cui fratello Felice fu un notevole scultore, seppe uscire almeno in parte dagli schemi correnti del suo tempo e proprio per questo la sua personalità artistica meriterebbe di essere studiata più a fondo di quanto non si sia fatto sino ad ora. Per un pittore che tende, almeno parzialmente, a evadere da un ambiente, eccone invece uno

che vi rimane strettamente ancorato: è questi Biagio Canevari che, dopo aver frequentato la Civica scuola d'arte di Pavia, fu a Brera allievo del Bertini e del Casnedi, risentendo di quel particolare clima che traeva positivi stimoli dal parallelo svolgersi della Scapigliatura e che ebbe più oltre in Cesare Tallone un efficacissimo maestro che nella ritrattistica esercitò qualche influsso anche sul nostro pittore. Ma siamo giunti a una personalità d'artista di eccezionale interesse pur se la sua produzione si riduce a poche opere a causa della morte precocissima parliamo di Felice Truffa , spentosi a soli ventitré anni di età per aver contratto la malaria perniciosa nella Maremma toscana dove si era recato a dipingere. Il Truffa, per quello che concerne la sua formazione artistica, differisce dai colleghi in quanto, dopo aver frequentato le accademie di Torino e di Milano, si reca a Firenze avendo come maestro il Fattori; più oltre stabilisce contatti d'arte e di opinioni con Pellizza da Volpedo, con ArturoTosi, col Morbelli. Specie dai rapporti – testimoniati da un epistolario - con Pellizza emergono motivi di grande interesse che rivelano come il giovanissimo artista fosse indirizzato verso quelle posizioni che, allora, apparivano di assoluta avanguardia. Nella vicenda che accomunava i due pittori, si pallava, sì, con grande fervore, dei problemi più direttamente interessati alla natura e alle qualità del colore e della luce, ma anche di ciò che poteva essere la pittura stessa in rapporto ai problemi della società ed ecco far capolino, accanto a quello dell'artista di Volpedo, pure l'impegno politico e umanitario di Morbelli -; idee rivoluzionarie nell'uno e nell'altro caso, idee che portano probabilmente il Truffa a non ignorare un altro generoso rappresentante di quest'ala estrema e più avanzata della nostra pittura, tardo ottocentesca,- Attilio Pusterla. Com'è purtroppo inevitabile, i soli ventitré anni vissuti dal Truffa non gli permisero che di proporre e accennare, nel limitato numero di quadri ch'egli produsse, quanto potenzialmente era in lui, nel suo pensiero, nella sua attenzione di idee destinate a sfociare in un discorso pittorico. E’ per questo che egli ci pare un artista la cui personalità deve essere studiata a

fondo, al fine di riportarne alla luce non solo tutte le opere ancora reperibili ma soprattutto i significati ch'esse gli proponevano e quei valori ancora in gran parte embrionali che avrebbero potuto far riconoscere in lui uno tra i più coraggiosi esponenti di una particolarissima avanguardia in aperta lotta contro i limiti e le convenzioni della mentalità provinciale che aduggiava l'intera cultura italiana di quel tempo. Per obbedire a un criterio cronologico che ho sin qui cercato di rispettare, al giovane artista che correva sul filo delle innovazioni, debbo ora contrapporre uno tra i più tipici rappresentanti della tradizione decorativa vigevanese: Luigi Bocca . Fu lui che, insieme al citato Casimiro Ottone effettuò f immane restauro della piazza Ducale, secondo criteri che erano i migliori dell'epoca. Maestro d'arte, il Bocca esercitò una larga influenza sui giovani e rivelò, accanto alle spiccate qualità decorative, ut temperamento e un carattere assai incisivo. Allievo anch'egli, a Brera, del Bertini, succedette al Garberini nella posizione da questi occupata in ambito vigevanese. Quanto quest'ultimo era stato 1'aecademico della figura, della ritrattistica, il fedele traduttore in immagini dei personaggi di rilievo, così il Bocca divenne, in certo qual senso, l'accademico del vero, raggiungendo tuttavia una maggiore libertà espressiva nel- paesaggio, proprio 1à dove la sua correttezza formale lasciava qualche spazio a una più fresca vena evocativa nei quadri che conservassero il sapore spontaneo e immediato dell'abbozzo. Giuseppe Amisani è indubbiamente il pittore lomellino che godette di maggiore fama presso un pubblico piuttosto vasto e presso una critica ancora legata ai fattori connessi con le mode a quel tempo correnti. Passato attraverso una lusinghiera trafila di successi (nel 1908 vinse il premio Mylius e nel1912 il premio Fumagalli col ritrauo liberty della diva liberty per eccellenza, 1' attrice Lida Borelli), Amisani rappresentò in pittura aspetti decisamente intrisi di spirito dannunziano. Essendo figlio del proprio tempo, l'artista di Medenon si sottrasse alle seduzioni di quella

che era stata chiamata «la belle époque» e ciò gli valse fama e commissioni. Le sue qualità migliori vanno per contro ricercate non tanto nella mondanità della sua pittura - che rimane un fatto contingente -, quanto nelle pieghe di questa stessa pittura, in taluni raffinati passaggi cromatici, nelle sottigliezze tonali, in una linea sinuosa e tutto sommato serpentina che ne fa un Boldini purtroppo privo dei contatti europei e dell'animo parigino. Vanno anche tenuti in debito conto alcuni suoi paesaggi, e non tanto quelli africani (che, come africanista, è un po' in ritardo) quanto quelli inglesi e liguri, nei quali le sue doti di colorista, la sua agilità di pennellata, la sua freschezza nel cogliere i sorrisi della natura affiorano con spontanea immediatezza. Ma qui giunge di proposito un altro artista degno di una rivalutazione, cui, del resto, ha già dato meritoriamente l'avvio Raffaele De Grada che ha illustrato taluni fra i più essenziali aspetti della sua complessa eppur limpida personalità. Si tratta, com'è evidente, di Silvio Santagostino da Mortara. Allievo, a Brera, di molti diversi maestri, proprio dalle loro diversità egli trasse 1o spunto per liberarsene: precocemente compose alcune nature morte di eccezionale rigore, già metafisiche nel loro distacco dal contingente. Un'esperienza che incise profondamente su di lui, sulla sua intensa umanità, fu quella della prigionia in Ungheria durante la prima gueffa mondiale. I1 suo mondo pittorico si dipanò fra gli ultimi rigurgiti liberty, l'avvento di «valori plastici», il Novecento, ma sempre al di fuori di ogni esplicita adesione a questo o quel movimento. I casi della vita ridussero in provincia chi per temperamento non era affatto provinciale, come dimostra il complesso dell'opera sua sempre alla ricerca di valori pittorici proiettati verso f interno, in un lavoro di scavo che talvolta 1o portava a riesumare motivi del passato, ma il più spesso dischiudeva la via a soluzioni ben più attuali. Siamo così giunti a Mario Ornati che ai meriti propriamente artistici aggiunse quelli didattici, insegnando con fecondissimi risultati a Brera, dove aveva compiuto i suoi studi, Conseguito nel 1920 il premio Mylius, fu ritrattista assai

valido che gradatamente si accostò ai modi del Novecento e conservò tale impostazione anche nel paesaggio che gli permise comunque una più diretta e immediata comunione con la natura. Ciò gli valse quella qualificante etichetta lombarda ch'egli corroborò con la saldezza del suo impianto compositivo e con una felice disposizione alla sintesi. Al Bocca e all'Ottone, soprattutto per quello che si riferisce all'affresco, si riallaccia invece Emilio Galli . Uscito dall'Istituto Roncalli, approdò a Brera quando vi insegnava Cesare Tallone; prigioniero in Austria durante la prima guerra mondiale, al suo ritorno peregrinò per l'Italia insieme al Bocca rivelando un'indole inquieta che nel 1936 lo spinse in Libia. Pur attraverso codeste esperienze egli rimase fondamentalmente un verista che tuttavia seppe dignitosamente rammodernare la propria concezione senza venir meno alla tradizione e ad un modo agile e disinvolto di rinfrescarla. Si è così pervenuti a quegli ultimi artisti la cui attività rientra esclusivamente nell'area cronologica del nostro secolo e che effettivamente ne rappresentano aspetti assai più aggiornati, almeno per quanto concerne gli orientamenti estetici che 1o caratterizzarono sino alla seconda guerra mondiale e agli armi immediatamente seguenti. Carlo Zanoletti non ebbe, sulle prime, vita eccessivamente facile in quella Vigevano nella quale aveva dato prova di indiscutibili qualità sin da quando frequentava l'Istituto Roncalli. Tali qualità avevano trovato piena conferma al tempo della sua frequenza di Brera, dove aveva avuto per maestro Tallone; ma il suo temperamento lo portava non solo a superare, ma a rinnegare le posizioni veristiche e illustrative care all'ambiente locale e ciò fece nascere nei suoi confronti una certa iniziale diffidenza; né essa si attutì quando - dopo un proficuo viaggio a Parigi - l'artista rivelò a pieno la sua autonoma personalità di pittore indipendente anche da quel Novecento cui pure si era parzialmente accostato, ma sempre in funzione di una ricerca che possedeva i suoi precedenti nell'arte metafisica. Così egli si trovò nettamente in anticipo nei confronti di una

Vigevano che amava specchiarsi nel passato e la sua pittura tanto ricca di contenuti poetici fu a lungo misconosciuta. La sua visione si mantenne al di sopra delle parti e, liricamente immergendosi in un Ticino divenuto il fiume ideale del suo-eden, gli permise di crearsi un'oasi di sogno nella quale apparvero costantemente riflessi quegli incanti che 1o sembrarono isolare dalla realtà quotidiana. E alla fine vennero pure i meritati riconoscimenti che ne hanno fatto un artista di spicco, i cui contenuti così carichi di genuina poesia rappresentano l'anelito di chi, vivendo nella provincia, ha tuttavia la coscienza di appartenere a un mondo di più ispirata estrazione ideale e culturale. Vittorio Ramella , infine, morto non ancora quarantenne nel 1969 e quindi nato all'arte quando - dopo 1'agonia delle aspirazioni celebrative di un vasto settore del Novecento - ci si dibatteva alla ricerca di ideali paternità per cercare di superare 1o scoglio delle convenzioni, parve rifarsi a una lezione macchiaiola sentita tuttavia in chiave rosaiana e, sotto certi aspetti, metafisica, non senza qualche richiamo a Casorati. Ma in questa cultura, aggiornata sui maestri di un'epoca assai precisamente datata, si innestarono i moti e le emozioni di un pittore genuino sul quale l'alluvione di Firenze cadde come un diluvio universale. Per queste sue doti, nelle quali i fattori estetici compiutamente si incontrano con una sensibilità umana, Ramella merita un'attenta osservazione che anche sotto il profilo critico gli assegni un suo posto di rilievo nell'ambito di quei pittori locali che non si accontentarono di una circoscritta fama entro la cerchia della piccola patria di provincia. Ed è proprio questa la considerazione per il momento definitiva che scaturisce dall'esame dei pittori di cui ci siamo occupati: essi agirono, perlopiù, in ambito provinciale e incarnarono quei limitati ideali che caratterizzarono un po' tutta la cultura italiana nell'arco di ben più che un secolo. E se codesti caratteri – che mantennero sovente una certa continuità, che possedettero affinità ragguardevoli - valsero a tratti a rivelare estro e fantasia, in qualche caso mostrarono

un'aspirazione una propensione all'autonomia espressiva, allora significa ch'essi ci possono offrire un primo embrione della cultura pittorica vigevanese e della Lomellina; così, almeno in parte, si può sopperire alle trascuratezze sin qui lamentate e ci si può soprattutto orientare sui modi in cui essa debba essere tratta dall'ombra onde permettere agli studiosi locali e non solamente locali di realizzare quelle indagini e, conseguentemente quelle pubblicazioni che all'indipendenza,

permetteranno di ricostruire l'autentico panorama dell'arte di Vigevano e della zona circostante nel secolo XIX e nella prima metà del nostro, non senza tener presenti tutti quei precedenti che potrebbero a loro volta costituire argomento per studi altrettanto importanti.

Mario Monteverdi

GIOVANNI BATTISTA GARBERINI

Nato a Vigevano il 20 ottobre 1819 - morto il 15 Gennaio 1896. Giovanni Garberini può essere considerato il padre spirituale dei pittori vigevanesi. Da lui appresero, infatti, i primi rudimenti dell'arte Luigi Bocca, Casimiro Ottone, Ambrogio Raffele ed altri minori dell’ottocento. Vigevanese puro, dotato di non comuni qualità pittoriche, il Garberini si recò giovinetto a Milano ove, sotto la sapiente guida del pittore Sabatelli, plasmò la sua personalità. Finiti i corsi all'Accademia di Brera compì un viaggio a Roma e a Firenze studiando così i nostri massimi pittori della Rinascenza. Tra le sue opere ricordiamo: «La Maddalena ai piedi di Gesù» (affresco) nel Duomo di Vigevano; «Diomede e Ulisse» conservato all'Accademia di Brera, i ritratti dei coniugi Pisani (Ospedale di Vigevano), del marchese Saporiti, di proprietà dell'Istituto Negroni di Vigevano e i velari (Teatro Cagnoni di Vigevano).

Giovanni Battista Garberini

La servetta curiosa

Olio su tela cm. 78 x 120

Giovanni Battista Garberini

Velario Teatro Cagnoni – Vigevano

La festa sul Ticino

Giovanni Battista Garberini

Velario Teatro Cagnoni – Vigevano

Camilla Rodolfi guida le donne alla difesa di Vigevano

Giovanni Battista Garberini

Ritratto di gentiluomo

Olio su tela cm. 50 x 100

Giovanni Battista Garberini

Ritratto di dama

Olio su tela cm. 40 x 50

Giovanni Battista Garberini

Ritratto d’uomo

Olio su tela cm. 50 x 100

AMBROGIO RAFFELE

Questo insigne pittore vigevanese lasciò presto gli studi di architettura e ingegneria a cui era stato avviato, per seguire una via del tutto diversa: quella della pittura. Allievo di Antonio Fontanesi, il Raffele ereditò dal suo maestro l'amore al paesaggio e il caratteristico modo di interpretare poeticamente la natura. Nel 1887 espose una sua opera alla Biennale di Venezia e successivamente partecipò a numerose mostre presentando lavori ispirati alle valli piemontesi. In Val d'Aosta conobbe iI famoso pittore americano J.S. Sargent, di cui divenne carissimo amico e dal quale fu incoraggiato nella tecnica acqrarellistica. Un suo grande quadro, <

Ambrogio Raffele

Ciliegie

Olio su tela cm. 100 x 100

Ambrogio Raffele

Fiori (1905)

Olio su tela cm. 99 x 57

Ambrogio Raffele

Il ruscello

Olio su tela cm. 155 x 90

Ambrogio Raffele

Montagna Brulla

Olio su tela cm. 120 x 90

Ambrogio Raffele

Interno con figure

Olio su tela cm. 70 x 48

Ambrogio Raffele

Venezia

Olio su tela cm. 51 x 31,5

CASIMIRO OTTONE

Nato a Vigevano nel 1856, Casimiro Ottone incominciò la sua carriera di artista a dieci anni, alla scuola di uno zio imbianchino. Ottenuta in seguito una borsa di studio dal Comune di Vigevano, l'Ottone prese a frequentare l'Accademia di Brera, dove ebbe, quali insegnanti, tra gli altri, Raffaele Casnedi, Carlo Ferrario e Giuseppe Bertini, Uscito da Brera si recò all'estero lasciando traccia del suo passaggio a Lisbona, a Nizza, ad Avignone e a Montecarlo. Tornato in Italia, decorò la Chiesa del Carmine di Milano e numerose ville e case patrizie. Ma dove Casimiro Ottone eccelse fu nelle nature morte. Queste sue nature morte sono esemplari di emulazione della migliore pittura fiamminga per gli accordi raffinati del colore e la stupenda scala dei toni. Ia morte lo colse, nel 1942, a ottantasei armi, «tra i suoi stupendi mazzi di rose voluttuose, tra orcioli colmi di papaveri, in atteggiamento umile adorazione innanzi ai misteri della bellezza».

Casimiro Ottone

Grano e rosolacci

Olio su tela cm. 74 x 60

Casimiro Ottone

Grappoli d’uva nera

Olio su tela cm. 45 x 61

Casimiro Ottone

Testa di donna

Olio su tela cm. 40 x 60

Casimiro Ottone

Grappoli d’uva

Olio su tela cm. 30 x 40

Casimiro Ottone

Ritratto della sorella

Olio su tela cm. 40 x 60

Casimiro Ottone

Fiori

Olio su tela cm. 52 x 63

LUIGI BOCCA

Luigi Bocca ebbe umili origini: nacque il 26 aprile 1872 in Vigevano, frazione Piccolini. Studiò a Brera con Casnedi e Merlini. Il suo primo quadro “Per tua dote” acquistato dalla Società promotrice per le Belle Arti di Torino ed attualmente presso la Civica Pinacoteca di Vigevano, valse a creagli subito buona fama. Restaurò con Casimiro Ottone gli affreschi della Piazza Ducale di Vigevano. Altre sue opere pregevoli sono: “Le filatrici£, “il ritratto della madre” giudicato come il suo capolavoro; “Abbandono” figura femminile di delicata bellezza; “Il guardiacaccia”, i ritratti del chimico Casale e del Cav. Bretolini e signora. Morbidezza di colore e vigorosa animazione infondono vita e bellezza a codesti suoi ritratti. Nel 1914 partecipò al concorso per un posto di insegnante alla Scuola Superiore di Pittura dell’Accademia di Perugia. Scelto con il pittore Spadini, dopo accese polemiche fra i membri della Commissione pubblicate anche sul Giornale d’Italia, la cattedra rimase vacante. Con Emilio galli lavorò a Roma ed in Sicilia. Dopo aver decorato numerose chiese eville della nostra Lomellina, Luigi Bocca chiuse improvvisamente la sua laboriosa giornata a Vigevano il 10 gennaio 1930.

Luigi Bocca

Nello studio

Olio su tela cm. 95 x 185

Luigi Bocca

Per tua dote

Olio su tela cm. 188 x 166

Luigi Bocca

Ritratto del Vescovo Berruti

Olio su tela cm. 120 x 220

Luigi Bocca

Ritratto di donna

Olio su tela cm. 45 x 64

Luigi Bocca

Testa di vecchio

Olio su tela cm. 30 x 45

Luigi Bocca

Paesaggio alpino

Olio su tela cm. 35 x 46

MARIO ORNATI

Nato a Vigevano nel 1887, dopo le prime lezioni di disegno apprese all’Istituto Roncalli, vince a soli quindici anni ina borsa di studio e si reca a Milano alla Reale accademia di Brera. A ventun anni è licenziato dalla scuola di pittura col primo premio e massima lode e subito conquista, con regolare concorso la pensione biennale Havez pel il corso di perfezionamento in Rona. Nel 1921 espone all’Internazionale di Venezia e nello stesso anno è nominato Professore all’Accademia di Brera N2l 1927 concorre e vince il posto di titolare di Pittura a1la Reale Accademia di Palermo. Un suo «Ciociaro» è acquistato da S.M. 1a regina Elena e, nel 1933, la sua grande tela «I1 lago maggiore», esposta alla Biennale di Brera, è acquistata da S.M. i1 Re. Le sue mostre si sono susseguite senza posa e con sempre maggiori successi: Varese, Roma, Barcellona, Torino, Genova, Firenze, Busto Arsizio, Vigevano, Venezia, sono solo alcune tappe. Carlo Carrà nel gennaio 1936 in occasione di una mostra alla Bottega d'arte Salvietti ha scritto su11'Ambrosiano'. «La mostra personale di Mario Ornati rivela un artista che ha dei numeri ai nostri occhi di amatori disinteressati dell'arte»' Ornati ha ottenuto lusinghieri successi anche come affreschista; è sufficiente infatti ricordare il Premio Mvlius vinto con l'opera «I1 Ghirlandaio» del 1920 e gli affreschi per la Chiesa Parrocchiale di

Savignone (Genova) de1 1934. Mario Ornati morì nel 1955.

Mario Ornati

Ritratto d’uomo

Olio su tela cm. 95 x 115

Mario Ornati

Riflessi (1931)

Olio su tela cm. 40 x 50

Mario Ornati

Il mio Antonio (1932)

Olio su tela cm. 30 x 35

Mario Ornati

Veduta del Lago di Iseo (1928)

Olio su tela cm. 40 x 34

Mario Ornati

Ritratto della signora Govoni (1937)

Olio su tela cm. 70 x 85

Mario Ornati

Dalie (1953)

Olio su tela cm. 72 x 85

EMILIO GALLI

Emilio Galli nacque a Vigevano il 7 marzo 1889.

Entrò presto nella pratica della pittura e nell’ambiente ad essa legato; divenne infatti decoratore ed allievo di Luigi Bocca, che in quell’epoca era direttore ed insegnante di disegno presso l’Istituto Arte e Mestieri “Vincenzo Roncalli”. Nel 1906, vinta la borsa di studio “Fondazione Garberini”, si iscrisse all’Accademia milanese delle Belle Arti di Brera e nel 1911 ottenne il diploma “in riconoscimento delle sue alte qualità artistiche”. Nel 1914 si recò in Francia per informarsi delle nuove idee e fra il 1920 ed il 1925 si impegnò in viaggi attraverso l’Italia e con il primo Maestro Bocca. Al ritorno da questi viaggi organizzò nella sala del ridotto del Civico Teatro Cagnoni (giugno 1926) la sua prima ed unica personale. Verso il 1936/37 Galli si recò in Libia con l’amico pittore Francesco Mazzucchi per ricevere nuove emozioni ed ispirazioni. A testimonianza della sua attività di affreschista restano opere di grande impegno e pregio quali la chiesa di Savignone (con il pittore Ornati), la Chiesa di Fogliano (1951), la parrocchia di Torrione del Vinzaglio (Vercelli) e la decorazione della Villa Casale di Rapallo. In quegli anni ebbe come insegnanti Cesare Tallone e Giuseppe Mentessi.

Morì a Vigevano il 7 giugno 1965.

Emilio Galli

L’ombrello

Olio su cartone cm. 36 x 25

Emilio Galli

Autoritratto

Olio su tavola cm. 50 x 70

Emilio Galli

Peonie

Olio su tela cm. 60 x 60

Emilio Galli

Sulla spiaggia

Olio su cartone telato cm. 50 x 35

Emilio Galli

Piazza Ducale

Olio su cartone cm. 60 x 40

Emilio Galli

Neve sul canale

Olio su cartone cm. 20 x 24

CARLO ZANOLETTI

Nato il 2 aprile 1898 a Vigevano, giunse alla pittura attraverso l’Istituto di Arti e Mestieri “Vincenzo Roncalli”. Al termine dei corsi, dove ebbe come insegnanti Bellazzi e Luigi Bocca, si iscrisse all’Accademia delle Belle Arti di Brera in Milano, dove seguuì i corsi dell’Alciati e di Cesare Tallone. Allo scopo di approfondire i suoi studi, nel 1930 si recò a Parigi per entrare in contatto diretto con le opere dei grandi maestri dell’arte moderna. La sua prima mostra risale al 1930 (Mostra della Bevilacqua la Masa di Venezia). Ha partecipato a Biennali dell’Accademia di Brera dal 1930 al 1940 e alla Biennale di Venezia nel 1950 con l’opera “Le lavandaie”. Ha esposto in personali a Vigevano, Pavia, Novara, Sesto S. Giovanni, Gallarate, Vercelli, Savona, Cernusco sul naviglio, Crema, Firenze, Seregno, Milano e Abbiategrasso. Nel 1977 con il patrocinio del Comune di Vigevano ha presentato nelle sale del Maschio del Castello Sforzesco di Vigevano una “Grande Antologica”. N2l 1970 e nel 1973 ha ricevuto l’Abrogino d’oro del Comune di Milano. E’ un artista che ha raccolto dovunque sinceri consensi di critica e di pubblico e per lui vale ancora oggi il giudizio di Pier Angelo Soldini che nel 1932 diceva: “è l’unico artista Vigevanese che senta e coltivi con intelligenza l’arte moderna” Conseguì il diploma nel 1921.

Zanoletti è morto nella sua Vigevano nel 1981.

Carlo Zanoletti

Ticino con barche

Olio su tela cm. 70 x 60

Carlo Zanoletti

Autoritratto

Olio su tela cm. 60 x 100

Carlo Zanoletti

Le sarte (1937)

Olio su tela cm. 70 x 60

Carlo Zanoletti

Donne

Olio su tela cm. 85 x 90

Carlo Zanoletti

Ticino (1950)

Olio su tela cm. 75 x 60

Carlo Zanoletti

Mosè salvato dalle acque (1944)

Olio su tela cm. 155 x 105

VITTORIO RAMELLA

Nato a Vigevano il 17 gennaio 1930, morto il 1 settembre 1969.

Pittore, scultore, scrittore e poeta, si è laureato in lettere antiche all’Università Cattolica di Milano il 25 giugno 1953.

A ventun anni si è iscritto ai corsi di disegno e pittura dell’Accademia di Firenze.

La sua poliedrica attività culturale lo ha spesso strappato dai pennelli e dai colori; ma la pittura, col suo tirmentato richiamo, rappresentava per lui un bisogno intimo, come un’espressione profondamente sentita e sincera, quindi del tutto particolare. Le sue tele e i suoi affreschi mostrano una sapienza tecnica, purtroppo non comune a molti professionisti più famosi e sono inconfondibili nella visione della solitudine e nella ricerca di una primaria architettura di volumi e superfici luminose. Ha vinto il premio “Città di Vigevano” e quello di “Città di Ravenna” ed ha esposto un quadro alla II Mostra Regionale Lombarda al Palazzo Reale di Milano nel 1964. I suoi importanti affreschi si trovano presso la Banca Popolare di Novara di Vigevano, l’Istituto S. Giuseppe di Vigevano e la Chiesa di N.S. di Fatima di Vigevano.

Vittorio Ramella

Borgo Albricci (Firenze)

Olio su tela cm. 50 x 70

Vittorio Ramella

Firenze

Olio su tavola cm. 44 x 65

Vittorio Ramella

Natura morta

Olio su cartone cm. 50 x 60

0

Vittorio Ramella

Il giorno dell’Ira

Olio su tela cm. 80 x 100

Vittorio Ramella

Scarpe al sole

Olio su tela cm. 75 x 90

Vittorio Ramella

A sera Piazza Ducale

Olio su tela cm. 100 x 70

FREDINANDO BIALETTI

Ferdinando Bialetti nacque a Mede Lomellina il 17 luglio 1864 e fu fratello dello scultore Felice.

Frequentò l’Accademia Albertina di Torino con valenti insegnanti come Fontanesi, Grosso, Gamba, Gilardi e Gastaldi. Licenziato dall’Accademia con un ottimo corredo di nozioni tecniche e pratiche, si dedicò subito alla professione con costanza e chiari intenti, assistito da brillanti attitudini e ferma volontà di affermazione. Il Bialetti coltivò anche l’affresco, con ottimi risultati tecnici e coloristici. Si possono citare quelli da lui realizzati nella Chiesa di S. Marziano a Mede (1929); nello storico palazzo D. Giorgio in Genova; nel Teatro Olimpico di Vicenza e la “Battaglia di Carlo Magno contro i Longobardi” nel Santuario della Madonna del Campo di Mortara Nella lunga vita lavorò molto, collaborando anche in un’occasione con lo scultore Canonica, ma la sua fama non poté varcare l’ambito regionale per il suo rifiuto ad organizzare mostre personali e a partecipare a collettive.

Morì a Pavia alla fine del 1958.

Ferdinando Bialetti

Ritratto di donna

Olio su tela cm. 75 x 115

Ferdinando Bialetti

Ritratto della figlia

Olio su tela cm. 20,5 x 30,5

Ferdinando Bialetti

Ritratto del fratello Felice, scultore

Olio su tela cm. 49 x 71

Ferdinando Bialetti

Paesaggio con la neve

Olio su tela cm. 70 x 50

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