Pittori Lomellini

emozionale del vero, per cui da noi non vi è affatto antitesi fra romanticismo e verismo o realismo, in quanto la presa di contatto con l'oggettivo quotidiano ha luogo in un clima di liberazione dai ceppi delle convenzioni e quindi - paradossalmente - il vero o il reale offrono spazio allo scatenarsi della fantasia, ovviamente in quegli artisti che posseggano le qualità necessarie a così ardita operazione di riscatto dei valori dell’immaginazione. Grava dunque su tutta la nostra cultura artistica (facendo ne eccezione, al principio del secolo, la poesia di Foscolo e Leopardi e, per quasi tutta la durata del secolo medesimo, la musica operistica) la cappa di un provincialismo che ci esclude ai grandi fatti in gestazione nell'Europa centrale, in Francia, in Inghilterra. Perciò l'analizzare con qualche attenzione quali siano le reali condizioni della provincia italiana vera e propria costituisce un dato prezioso e assolve al compito di arricchire le nostre specifiche conoscenze in merito e ci permette una verifica dei valori anche e soprattutto in rapporto a quegli artisti che, per aver respirato meno degli altri un'atmosfera così limitatamente provinciale, avevano di stolto da sé stessi un'attenzione che, da parte degli amatori e del pubblico locali, era rivolta proprio ai più integrali rappresentanti delle circoscritte ambizioni della provincia medesima. Ancora una premessa per ricordare quale ruolo determinante esercitò sulla formazione di più di un'artista vigevanese o lomellino l'Istituto d'Arti e Mestieri «Vincenzo Roncalli», della cui sezione di pittura fu direttore proprio il Garberini, sulla cattedra del quale si avvicendarono poi altri artisti che prenderemo in esame; e ancora per sottolineare il fatto che i più cospicui artisti provenienti dalla zona frequentarono Brera o l'Accademia Albertina e che perciò da Milano e da Torino trassero lo spunto per partecipare attivamente alle vicende della pittura italiana del secondo Ottocento e dei primi decenni del nostro secolo. Rifacciamoci, pertanto, a quel momento che è, a mio avviso, piuttosto critico, in quanto i confini ideologici ne appaiono alquanto confusi e le distinzioni fra neoclassicismo e romanticismo si vengono a smarrire nel comune pentolone dell'Accademia. In

compenso, pur se quest'ultima tende a sopire ogni slancio eversivo e ad appiattire nel conformismo delle acquisite tradizioni quanto sarebbe forse potuto esplodere nella generosa imprudenza di uno spirito rivoluzionario, i suoi meriti comunque li ebbe: e, furono quelli di mantenere intatta la dignità del mestiere, di spingere verso una perfezione tecnica che coincise col possesso più completo degli strumenti di cui parimenti fruirono vuoi i geniali inventori dei nuovi linguaggi espressivi, vuoi i modesti ma decorosi continuatori di un costume acquisito. Giovan Battista Garberini , anche se allievo di Luigi Sabatelli a Brera, come ritrattista divenne - nei suoi onesti e corretti limiti - l'Hayez di provincia; collegandosi in maniera ineccepibile agli ideali dell'Accademia, egli preparò pure le glorie decorative vigevanesi trasmettendone il germe - col suo insegnamento presso la scuola d'arte dell'Istituto Roncalli - all'Ottone e al Bocca. Fu questo uno tra i suoi meriti più specifici, in quanto i suoi ritratti documentano in maniera ineccepibile il carattere dell'alta borghesia vigevanese e le sue rievocazioni storiche rientrano perfettamente nel clima di un romanticismo melodrammaticamente scenografico di contenuto patetico. Bisogna peraltro aggiungere che, oltre a svolgere la preziosa funzione didattica che dicemmo, in più di un caso egli offrì pure tangibili aiuti ai suoi allievi perché potessero proseguire i propri studi. Ambizioni e orientamenti decisamente diversi da quelli del Garberini furono invece perseguiti da Ambrogio Raffele : allievo del Fontanesi all'Accademia Albertina di Torino, prima che il pittore emiliano partisse per il Giappone, Raffele cercò inizialmente di assimilare i motivi stilistici e i contenuti poetici del maestro. Passato poi sotto la guida del Gastaldi, seppe non farsi completamente irretire da un romanticismo convenzionale quale quello che discendeva da Massimo D'Azeglio e conservò una propria attitudine che 1o spingeva a cogliere della natura le emozioni più sottili. Molto amico di Marco Calderini, ebbe in comune con lui una tendenza verso il verismo che si arricchì al

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