Pittori Lomellini

fondo, al fine di riportarne alla luce non solo tutte le opere ancora reperibili ma soprattutto i significati ch'esse gli proponevano e quei valori ancora in gran parte embrionali che avrebbero potuto far riconoscere in lui uno tra i più coraggiosi esponenti di una particolarissima avanguardia in aperta lotta contro i limiti e le convenzioni della mentalità provinciale che aduggiava l'intera cultura italiana di quel tempo. Per obbedire a un criterio cronologico che ho sin qui cercato di rispettare, al giovane artista che correva sul filo delle innovazioni, debbo ora contrapporre uno tra i più tipici rappresentanti della tradizione decorativa vigevanese: Luigi Bocca . Fu lui che, insieme al citato Casimiro Ottone effettuò f immane restauro della piazza Ducale, secondo criteri che erano i migliori dell'epoca. Maestro d'arte, il Bocca esercitò una larga influenza sui giovani e rivelò, accanto alle spiccate qualità decorative, ut temperamento e un carattere assai incisivo. Allievo anch'egli, a Brera, del Bertini, succedette al Garberini nella posizione da questi occupata in ambito vigevanese. Quanto quest'ultimo era stato 1'aecademico della figura, della ritrattistica, il fedele traduttore in immagini dei personaggi di rilievo, così il Bocca divenne, in certo qual senso, l'accademico del vero, raggiungendo tuttavia una maggiore libertà espressiva nel- paesaggio, proprio 1à dove la sua correttezza formale lasciava qualche spazio a una più fresca vena evocativa nei quadri che conservassero il sapore spontaneo e immediato dell'abbozzo. Giuseppe Amisani è indubbiamente il pittore lomellino che godette di maggiore fama presso un pubblico piuttosto vasto e presso una critica ancora legata ai fattori connessi con le mode a quel tempo correnti. Passato attraverso una lusinghiera trafila di successi (nel 1908 vinse il premio Mylius e nel1912 il premio Fumagalli col ritrauo liberty della diva liberty per eccellenza, 1' attrice Lida Borelli), Amisani rappresentò in pittura aspetti decisamente intrisi di spirito dannunziano. Essendo figlio del proprio tempo, l'artista di Medenon si sottrasse alle seduzioni di quella

che era stata chiamata «la belle époque» e ciò gli valse fama e commissioni. Le sue qualità migliori vanno per contro ricercate non tanto nella mondanità della sua pittura - che rimane un fatto contingente -, quanto nelle pieghe di questa stessa pittura, in taluni raffinati passaggi cromatici, nelle sottigliezze tonali, in una linea sinuosa e tutto sommato serpentina che ne fa un Boldini purtroppo privo dei contatti europei e dell'animo parigino. Vanno anche tenuti in debito conto alcuni suoi paesaggi, e non tanto quelli africani (che, come africanista, è un po' in ritardo) quanto quelli inglesi e liguri, nei quali le sue doti di colorista, la sua agilità di pennellata, la sua freschezza nel cogliere i sorrisi della natura affiorano con spontanea immediatezza. Ma qui giunge di proposito un altro artista degno di una rivalutazione, cui, del resto, ha già dato meritoriamente l'avvio Raffaele De Grada che ha illustrato taluni fra i più essenziali aspetti della sua complessa eppur limpida personalità. Si tratta, com'è evidente, di Silvio Santagostino da Mortara. Allievo, a Brera, di molti diversi maestri, proprio dalle loro diversità egli trasse 1o spunto per liberarsene: precocemente compose alcune nature morte di eccezionale rigore, già metafisiche nel loro distacco dal contingente. Un'esperienza che incise profondamente su di lui, sulla sua intensa umanità, fu quella della prigionia in Ungheria durante la prima gueffa mondiale. I1 suo mondo pittorico si dipanò fra gli ultimi rigurgiti liberty, l'avvento di «valori plastici», il Novecento, ma sempre al di fuori di ogni esplicita adesione a questo o quel movimento. I casi della vita ridussero in provincia chi per temperamento non era affatto provinciale, come dimostra il complesso dell'opera sua sempre alla ricerca di valori pittorici proiettati verso f interno, in un lavoro di scavo che talvolta 1o portava a riesumare motivi del passato, ma il più spesso dischiudeva la via a soluzioni ben più attuali. Siamo così giunti a Mario Ornati che ai meriti propriamente artistici aggiunse quelli didattici, insegnando con fecondissimi risultati a Brera, dove aveva compiuto i suoi studi, Conseguito nel 1920 il premio Mylius, fu ritrattista assai

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