Pittori Lomellini

valido che gradatamente si accostò ai modi del Novecento e conservò tale impostazione anche nel paesaggio che gli permise comunque una più diretta e immediata comunione con la natura. Ciò gli valse quella qualificante etichetta lombarda ch'egli corroborò con la saldezza del suo impianto compositivo e con una felice disposizione alla sintesi. Al Bocca e all'Ottone, soprattutto per quello che si riferisce all'affresco, si riallaccia invece Emilio Galli . Uscito dall'Istituto Roncalli, approdò a Brera quando vi insegnava Cesare Tallone; prigioniero in Austria durante la prima guerra mondiale, al suo ritorno peregrinò per l'Italia insieme al Bocca rivelando un'indole inquieta che nel 1936 lo spinse in Libia. Pur attraverso codeste esperienze egli rimase fondamentalmente un verista che tuttavia seppe dignitosamente rammodernare la propria concezione senza venir meno alla tradizione e ad un modo agile e disinvolto di rinfrescarla. Si è così pervenuti a quegli ultimi artisti la cui attività rientra esclusivamente nell'area cronologica del nostro secolo e che effettivamente ne rappresentano aspetti assai più aggiornati, almeno per quanto concerne gli orientamenti estetici che 1o caratterizzarono sino alla seconda guerra mondiale e agli armi immediatamente seguenti. Carlo Zanoletti non ebbe, sulle prime, vita eccessivamente facile in quella Vigevano nella quale aveva dato prova di indiscutibili qualità sin da quando frequentava l'Istituto Roncalli. Tali qualità avevano trovato piena conferma al tempo della sua frequenza di Brera, dove aveva avuto per maestro Tallone; ma il suo temperamento lo portava non solo a superare, ma a rinnegare le posizioni veristiche e illustrative care all'ambiente locale e ciò fece nascere nei suoi confronti una certa iniziale diffidenza; né essa si attutì quando - dopo un proficuo viaggio a Parigi - l'artista rivelò a pieno la sua autonoma personalità di pittore indipendente anche da quel Novecento cui pure si era parzialmente accostato, ma sempre in funzione di una ricerca che possedeva i suoi precedenti nell'arte metafisica. Così egli si trovò nettamente in anticipo nei confronti di una

Vigevano che amava specchiarsi nel passato e la sua pittura tanto ricca di contenuti poetici fu a lungo misconosciuta. La sua visione si mantenne al di sopra delle parti e, liricamente immergendosi in un Ticino divenuto il fiume ideale del suo-eden, gli permise di crearsi un'oasi di sogno nella quale apparvero costantemente riflessi quegli incanti che 1o sembrarono isolare dalla realtà quotidiana. E alla fine vennero pure i meritati riconoscimenti che ne hanno fatto un artista di spicco, i cui contenuti così carichi di genuina poesia rappresentano l'anelito di chi, vivendo nella provincia, ha tuttavia la coscienza di appartenere a un mondo di più ispirata estrazione ideale e culturale. Vittorio Ramella , infine, morto non ancora quarantenne nel 1969 e quindi nato all'arte quando - dopo 1'agonia delle aspirazioni celebrative di un vasto settore del Novecento - ci si dibatteva alla ricerca di ideali paternità per cercare di superare 1o scoglio delle convenzioni, parve rifarsi a una lezione macchiaiola sentita tuttavia in chiave rosaiana e, sotto certi aspetti, metafisica, non senza qualche richiamo a Casorati. Ma in questa cultura, aggiornata sui maestri di un'epoca assai precisamente datata, si innestarono i moti e le emozioni di un pittore genuino sul quale l'alluvione di Firenze cadde come un diluvio universale. Per queste sue doti, nelle quali i fattori estetici compiutamente si incontrano con una sensibilità umana, Ramella merita un'attenta osservazione che anche sotto il profilo critico gli assegni un suo posto di rilievo nell'ambito di quei pittori locali che non si accontentarono di una circoscritta fama entro la cerchia della piccola patria di provincia. Ed è proprio questa la considerazione per il momento definitiva che scaturisce dall'esame dei pittori di cui ci siamo occupati: essi agirono, perlopiù, in ambito provinciale e incarnarono quei limitati ideali che caratterizzarono un po' tutta la cultura italiana nell'arco di ben più che un secolo. E se codesti caratteri – che mantennero sovente una certa continuità, che possedettero affinità ragguardevoli - valsero a tratti a rivelare estro e fantasia, in qualche caso mostrarono

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