Il settore calzaturiero

della concorrenza italiana e straniera, Vigevano vide un pullulare stupefacente di laboratori artigianali e di imprese industriali sicuramente eccezionale nella sua storia produttiva. In città, si producevano tutti i tipi di calzature, di qualsiasi qualità e per ogni categoria, con un soddisfacimento veramente impressionante delle innumerevoli esigenze, come se esistesse un monopolio produttivo tale da non temere minimamente l’inserimento minaccioso di altre zone calzaturiere. La scarsità di spazio impedisce di ricordare tutti gli innumerevoli artefici di quella singolare componente del miracolo economico nazionale; basti elencarne le aziende più note, con i rispettivi addetti: Ursus (379), Ital Nord (321), Carbe (230), Enne Mi (220), Salamander (195), Maci (171), Faro (169), Sultanino (150), Novus (145), Elvezia (130), Rosi (120) , Ardea (109), Pegabo (100). 17 Molto importante fu la progressione con cui si perfezionarono e diffusero, in quel periodo, le aziende subfornitrici di ogni tipo (particolarmente quelle per i tacchi, le forme, le fustelle e le scatole), generando un tessuto di sostegno completamente soddisfacente le necessità dei calzaturifici, sempre più integrati con esse e con le aziende meccaniche, in un sistema di imprese dalla complessità crescente. Non si era ancora giunti, certo, a quell’espansione straordinaria, in questa categoria, che sarà riscontrabile in seguito, ma si stavano ponendo serie premesse per un suo prossimo avvento, sia nell’estensione quantitativa sia nell’approfondimento qualitativo, conformemente ai tempi. Si possono menzionare, al riguardo, due ditte famose: la F.lli Alava, il più importante fustellificio italiano dell’epoca, con vaste possibilità esportatrici, e la cartografica Angelo Crespi, assai rinomata per la sua raffinata e accurata produzione. 18 In quegli anni, si ebbe anche l’aumento notevole di officine meccaniche per la produzione di macchine calzaturiere, che riuscirono a coprire l’intera gamma delle esigenze settoriali, con tali progressi qualitativi da imporsi anche sui mercati esteri, notoriamente sofisticati. Questa impegnativa attività trovava un valido supporto in severi studi, compiuti in due scuole tecniche cittadine, gli Istituti Roncalli e Negrone, e maturava, nell’esperienza pratica, agevolata dai calzaturieri, l’elasticità necessaria a risolvere, con singolare competenza, i molteplici problemi esistenti. Ecco un elenco di ditte importanti: Allevi-Belloni, F.lli Alava, Bertolaia-Bariani, Bruggi Salgemma e C, Coldesina-Valsecchi, Colli Francesco, Falzone Angelo, Ferrari Antonio, Grassi e figli, Gaggianesi-Parzini, Minola Felice, Officine Ornati Angelo, Rossi-Minola, Sturino Paolo e Piccolo Tommaso. 19 Una struttura produttiva così importante doveva necessariamente ricercare un suo riflesso professionale e lo trovò nella “Settimana Vigevanese”, che, nata nel 1931, diventata, nel 1939, “Mostra Mercato Nazionale”, esposizione merceologica generica, ma con netta prevalenza delle calzature, per nove anni costituì anche un importante avvenimento riguardo al costume cittadino. Basta scorrere, in parte, gli elenchi delle aziende partecipanti alle varie edizioni, per rendersi conto della prosperosa articolazione economica raggiunta, allora, da Vigevano; a esse fecero degno contorno altre ditte italiane ed estere, tra cui alcune americane e tedesche, a dimostrazione del l prestigio internazionale raggiunto dalla città. Cessata a causa della seconda guerra mondiale, ma riaperta, nel 1948, diventata, nel 1950, dichiaratamente internazionale e trasformatasi, nel 1952, in esposizione esclusiva per le calzature, a dimostrazione del primato assoluto raggiunto dal settore, questa esposizione svolse una considerevole funzione incentivante. 20 Lo slancio prodigioso del calzaturiero, secondo attendibili fonti ufficiose, continuò sino al 1963 (970 ditte esistenti; 27,5 milioni di paia prodotte all’anno, di cui 14 milioni esportate), ma già nel 1965 apparve evidente una fase calante (920 aziende esistenti; 22 milioni di paia prodotte all’anno; soltanto l’esportazione aumentò a 17 milioni di paia; però, nel 1968, denuncerà una netta flessione). I dati dei censimenti, pur fondati su criteri diversi dai precedenti, registrano anche loro, tra il 1961 e il 1971, un calo di unità produttive da 838 a 593, e di occupati, da 14.045 a 8.469; del resto, una rilevazione del1968, simile a quella dei censimenti, aveva già dimostrato la sensibile accelerazione della crisi: 760 ditte esistenti, con 8.999 occupati. Fu la prima crisi post-bellica, per la congiuntura nazionale sfavorevole, l’aumentata concorrenza italiana e straniera, la lievitazione dei costi, soprattutto del lavoro, e la difficoltà nelle vendite. Si tentò di reagire ad essa con l’incremento della meccanizzazione, l’innovazione tecnologica, la subfornitura diffusa e il LA RESISTENZA ALLA CRISI.

17 idem 18 idem 19 idem 20 Idem

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