Dal saper come fare al saper cosa fare
L’INDUSTRIA ITALIANA DELLE MACCHINE PER CALZATURE NELLA PRIMAMETÀ DEL ‘900
di calzaturifici meccanizzati e della loro ampia dispersione sul territorio nazionale li fa apparire a posteriori come altrettante cattedrali nel deserto e, in quanto tali, probabilmente insufficienti ad una valutazione corretta delle potenzialità del mercato italiano e degli investimenti richiesti. Dall’altro lato, la forma distrettuale del tessuto vigevanese con la sua segmentazione e specializzazione produttiva ha favorito lo sviluppo della manutenzione esterna e la riproduzione o l’adattamento delle macchine da parte delle officine meccaniche, ed ha contribuito al ridimensionamento della centralità del mercato milanese. L’importanzadel rivenditoreitaliano, e la novità del suo ruoloper il settore, risiede nell’aver saputo sfruttare i limiti delle strategie dei grandi produttori internazionali ed i vincoli economici delle piccole imprese calzaturiere. Con la propria iniziativa il rivenditore ha raggiunto un duplice obiettivo: si è proposto all’impresa calzaturiera come una soluzione efficace nel fornire ogni tipo di macchina con modalità e prezzi competitivi; si è offerto all’officina meccano calzaturiera quale tramite per raggiungere i calzaturifici limitandone l’esigenza di dotarsi di una struttura commerciale. Infine ha assunto anche il ruolo di suggeritore in grado di orientare le scelte produttive, giungendo talvolta a fornire, insieme alle indicazioni, gli strumenti tecnici e finanziari indispensabili per la riproduzione delle tecnologie consolidate o la produzione dellemacchine da contrapporre a quelle proposte dalle grandi imprese internazionali. La rilevanza dell’attività svolta dal rivenditore, nonché della reputazione di quest’ultimo presso i calzaturifici, è del resto ben compresa dagli stessi pionieri del comparto meccano-calzaturiero. Antonio Ferrari dà vita nel 1924 ad una “Società riunite” con Simcasia, impresa commerciale fondata nel 1908 e presente a Milano, Napoli e Vigevano. Solo qualche anno prima, Secondo Mona aveva raggiunto un accordo con la Arturo Bartolazzi. Quest’ultima agli inizi degli anni ’20 disponeva di proprie filiali a Milano, Torino, Napoli e Vigevano attraverso le quali offriva “macchine non a nolo” di importazione, quali le statunitensi Landis Machinery, Champion Shoe Machinery, R.H. Long Machinery, Peerless Machinery, Fortuna e Hamel Shoe Machinery, e le inglesi Gimson Shoe Machinary e American Supplies 16 . Se si esclude la Usm che agiva tramite una propria filiale, la rappresentanza forse più ambita era quella della Moenus. A distribuire le macchine del gruppo tedesco in Italia era Joseph Loewenthal che disponeva di
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