Dal saper come fare al saper cosa fare

Capitolo secondo

Se si assumono le esportazioni quale indicatore della competitività dei diversi comparti nazionali, il confronto del dato italiano con quelli di Stati Uniti e Gran Bretagna non lascia molti margini al dubbio. Afronte di un volume delle esportazioni nazionali valutabile in centinaia di migliaia di paia, i dati corrispon denti ai due paesi leader sono espressi in milioni di paia; in particolare se nel 1900 l’esportazione italiana risultava pari a 170mila paia di scarpe quella ameri cana è stata di oltre 3 milioni di paia. Analogamente nel 1910 le esportazioni di Stati Uniti e Gran Bretagna assommano rispettivamente a 6 milioni di paia ed a 10 milioni di paia mentre con meno di 39mila paia di calzature “ben diversa e ben triste si presenta la situazione della calzoleria italiana.” 21 Le difficoltà dell’offerta italiana di calzature nell’allinearsi alla doman da e, più in generale, a competere con le produzioni estere, emergono del resto dal dibattito ospitato dalla “Conceria e Calzoleria Meccanica”. La rivista, di vol ta in volta, da un lato dà eco ad articoli comparsi sulla stampa internazionale od a relazioni di osservatori privilegiati e dall’altro dà voce ai sostenitori dei nuovi orientamenti industriali. La criticità dei dati statistici è quindi corroborata dal dibattito, talvolta polemico, suscitato dalla rivista sulle valutazioni espresse dal le diverse parti in base alle caratteristiche della scarpa italiana e alle scelte mani fatturiere per produrle. Le argomentazioni appaiono talvolta strumentali, non dimeno consentono di ricostruire un quadro anche qualitativo del livello di competitività dell’industria calzaturiera italiana nei primi decenni del ‘900. Una riprova del nuovo e crescente interesse per il mercato calzaturiero italiano è fornita da alcuni resoconti stilati dal già citato Console statunitense James E. Dunning. Al fine di evidenziare la potenziale competitività del prodot to statunitense nel mercato nazionale il relatore definisce la calzatura italiana un “prodotto brutto e senza stile” ed il produttore italiano un semplice riproduttore nei termini in cui “sinora egli non fece di più che adottare, con pieno successo, il disegno americano, come si può vedere nei migliori negozi; qui le calzature messe in mostra, portano un’etichetta colla dicitura “americana” e costano un po’ più di 3$ al paia” 22 . Fra le repliche, comunque contenute, una merita attenzione in quanto da un lato dà pieno riscontro del superiore standard qualitativo della calzatura statunitense e, dall’altro, tenta un’implicita difesa della produzione nazionale attribuendo la qualità del prodotto alla qualità del processo produttivo e criti cando l’elevata standardizzazione associata alla produzione in grande serie ope rata dai calzaturifici statunitensi.

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