Dal saper come fare al saper cosa fare

DALMARCHIO DI FABBRICAAL MADE IN ITALY

mercio Estero svoltosi alla fine del 1949, è per certi versi esemplare delle diffi coltà che incontra la costruzione dell’identità settoriale, ancor prima che di quella associativa. 1 Il verbale, oltre ai tradizionali riferimenti all’esigenza di provvedi menti volti ad una “maggior difesa dell’industria” ed alla definizione di nuo ve tariffe doganali, riporta i termini di una discussione che investe la possibi lità di sovrintendere al commercio con alcuni Paesi esteri. La rilevanza del problema posto è immediatamente comprensibile quando si consideri che il confronto investe la necessità di “dar luogo ad una selezione delle ditte che sono in grado di esportare senza danneggiare il buon nome dell’industria italiana”. Le difese delle imprese italiane sono assunte da Giuseppe Ferrari che, dopo aver reso nota l’esistenza di un’indagine dell’Istituto Nazionale del Commercio Estero “per l’accertamento delle ditte esportatrici che diano garanzia di qualità dei loro pro dotti”, sostiene la necessità di un intervento da parte di Anima e propone alcu ne iniziative volte a coinvolgere i produttori italiani. Nello specifico, l’impren ditore propone che “siano chiamati i principali fabbricanti vigevanesi ad una riu nione da tenersi a Vigevano presso la locale Associazione Industriale, con l’intervento dell’Anima.” L’accordo sulla proposta di Ferrari comporta che venga rinviata “ad altra riunione la discussione sull’ampliamento organizzativo del Gruppo e sulla nomina delle cariche del Gruppo stesso.” Il gap di influenza politica dell’Associazione è reso ancor più evidente dall’ultimo punto riportato dal verbale che ne rileva i limiti laddove comuni ca i risultati del tentativo di condizionare le importazioni delle macchine per calzature provenienti dagli Stati Uniti nel quadro delle iniziative E.R.P. La relazione del Gruppo delle imprese meccano-calzaturiere di Anima riporta che, malgrado la vivissima opposizione dell’Associazione, il “Ministero ha de ciso delle concessioni nell’ambito dei suoi poteri discrezionali, pur limitando sensibil mente il quantitativo delle macchine richieste.” Per tutti gli anni ’50 e gran parte dei ’60 la cultura dell’associazionismo fatica a diffondersi nel tessuto meccano-calzaturiero nazionale. Tale difficoltà trova puntuale riscontro negli annuari di Anima di quel periodo. A dispetto delle attese di rappresentatività che nei primi anni ’50 inducono la trasforma zione da “Gruppo” ad “Unione” dei costruttori di macchine per la lavorazio ne del cuoio e calzature, gli iscritti nel 1951 e nel 1954 sono 12, nel 1957 sono 11 e nel 1963 l’elenco preparato in collaborazione con l’Ice registra solo sette im-

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