Dal saper come fare al saper cosa fare

L’INDUSTRIA ITALIANA DELLE MACCHINE PER CALZATURE NEL DOPOGUERRA

ca e sviluppo, oltre a richiedere la “non riproducibilità” dei risultati; dall’altro lato, una adeguata struttura per la commercializzazione richiede un catalogo macchine completo o, comunque, sufficientemente ampio da soddisfare le po tenziali richieste di un calzaturificio. In altri termini, le dimensioni medie delle due imprese divengono il primo vincolo al mantenimento delle strategie ori ginarie: da un lato, non paiono poter consentire la crescita necessaria e, dal l’altro, vincolano fortemente la loro flessibilità. Nonostante le due imprese rappresentino negli anni ’50 le imprese meccano-calzaturiere di gran lunga più grandi, tanto da essere almeno 4 o 5 volte più grandi di un’impresa del comparto di medie dimensioni, gli investi menti in tecnologia ed in commercializzazione richiesti per essere competitivi con un’offerta diversificata sono assimilabili a costi fissi la cui entità mal si coniuga con i fatturati di Ferrari e di Mona. Per quanto concerne scelte alternative, quale quella sul versante della tecnologia di focalizzarsi su una sola famiglia di macchine per il cuoio, ciò sarebbe equivalso ad un ridimensionamento delle imprese e, comunque, non avrebbe risolto ma acuito il problema della commercializzazione aprendo la strada ad una relazione nuova di interdipendenza con i rivenditori/distribu tori. Diversamente, il non investire sull’aggiornamento delle tecnologie delle macchine per il cuoio avrebbe comportato l’accelerazione del moto verso la totale perdita di competitività, nei termini che il gap per ogni eventuale pas sato vantaggio detenuto dalle due imprese sarebbe stato progressivamente colmato dalle nuove officine sorte negli ultimi anni e, per quanto concerne Ferrari, non infrequentemente fondate da suoi ex dipendenti. Così come la Secondo Mona sceglie di abbandonare il settore, a parti re dagli anni ’50 anche la Ferrari opta per il progressivo disimpegno dalle macchine per la lavorazione delle calzature in cuoio –ove, in particolare, la competizione portata dalle piccole officine specializzate vigevanesi si dimo stra difficilmente contrastabile– per concentrarsi nello sviluppo e produzione di quelle destinate al sintetico ove, di converso, i risultati dell’investimento tecnologico appaiono essere più remunerativi e meno riproducibili, almeno inizialmente. In altri termini, le nuove tecnologie del sintetico paiono poter remunerare l’investimento in ricerca consentendo margini maggiori di quelli permessi nei segmenti tradizionali, nei quali il progressivo livellamento delle macchine induce una competizione crescente sui prezzi.

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