Dal saper come fare al saper cosa fare
L’INDUSTRIA ITALIANA DELLE MACCHINE PER CALZATURE NEL DOPOGUERRA
degli anni ’40 i calzaturifici ammontano a diverse centinaia. Come ricorda Antonio Capuano “c’erano 700 fabbriche di scarpe. In ogni cortile ce n’era una; e anche più di una. Si lavorava in casa o in qualche piccolo capannone”. Questo vasto e consolidato tessuto di imprese –in maggioranza di piccole e piccolissime dimensioni– alimentava in modo significativo, oltre che costante e sicuro, la domanda di meccanizzazione. Proprio la consistenza di tale domanda, resa ancor più pressante dalle carenze del periodo bellico, rappresenta lo zoccolo iniziale su cui le officine meccano-calzaturiere del distretto vigevanese hanno saputo far leva per prime in Italia. E’ forse utile ricordare che nel 1942 la Usm viene confiscata dal governo fascista, che la ribattezzerà “Compagnia Italiana Macchine per Calzature”, mentre per quanto concerne le imprese tedesche la ricostruzione, pur rapida, fu resa complessa dalla divisione della Germania in due Paesi distinti. All’accordo di Yalta può essere in tal senso imputata la ridefinizione di alcune scelte strategiche, quale nel caso di Torielli la fine della rappresentanza di Atlas Werke, impresa tedesca di Lipsia. Camillo Procchio, ricostruendo la storia dell’industria calzaturiera a Vigevano, evidenzia come nel 1939 i calzaturifici cittadini producessero circa 9 milioni di paia di calzature in cuoio e circa 6 milioni in gomma, cioè oltre un terzo dei 38 milioni di paia di calzature complessivamente prodotte in Italia a quella data 8 . Il successo conseguito dai calzaturifici vigevanesi trova rapidamente emuli in tutta Italia e le regioni a maggior vocazione calzaturiera iniziano a proporsi quali alternative al distretto lombardo. La meccanizzazione investe le imprese di ogni dimensione in ogni regione, al punto che gli anni ’50 ven gono identificati come gli anni dell’”industrializzazione dell’artigianato calzaturiero” 9 . Sostenute da mostre quali la Presentazione Nazionale della Moda della Calzatura di Bologna, la Campionaria Internazionale della Calza tura di Firenze e la Mostra Nazionale della Calzatura di Civitanova Marche e Montegranaro, la Toscana e le Marche si succedono nella conquista della leadership del comparto calzaturiero nazionale. Con gli anni ’60 Firenze supe ra Pavia in termini di paia di scarpe prodotte e, nel 1964, la Toscana diviene la prima regione calzaturiera d’Italia scavalcando la Lombardia. Nel volgere di pochissimi anni le Marche si proporranno come leader incontrastati 10 . La pressione che proviene dal comparto calzaturiero si traduce in una domanda consistente e, soprattutto, in costante crescita. Le officine meccani-
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