Dal saper come fare al saper cosa fare
L’INDUSTRIA ITALIANA DELLE MACCHINE PER CALZATURE NEL DOPOGUERRA
generalmente progettate all’estero o comunque già esistenti. “[P] er ragioni di necessità, durante la guerra, furono copiate tutte macchine estere di cui si aveva bisogno e furono copiate tanto bene e così pedissequamente che ancora oggi i fabbri canti si vantano di affermare che i loro pezzi possono essere montati sulle macchine originali estere: così bene si è copiato, senza sentire il bisogno di modificare, che si può confondere il vero col falso senza possibilità di scelta; e ci si era preso tanto gusto che per una sola macchina tedesca vi erano 17 imitatori, mentre in Germania vi era una sola fabbrica che facesse tale tipo di macchina [..] La guerra è finita da un pezzo, ma il cattivo sistema di copiare è tutt’altro che finito.” 2 La presunta mancanza o, co munque, lo scarso impegno profuso dalle imprese italiane nella progettazio ne e nello sviluppo di macchine originali, assimilata ad una piaga, viene attri buita alle “piccole officine che nascono e muoiono in breve volger di tempo e fanno più male che bene a tutta l’industria” 3 in ragione del loro introdurre forme di concorrenza sleale. Gli effetti paventati sono chiari. Da un lato tale prassi op portunistica contribuirebbe a disincentivare la ricerca volta a migliorare le macchine e le loro prestazioni; dall’altro lato manterrebbe il comparto nazio nale e con esso l’industria calzaturiera in una condizione di dipendenza dal l’estero per quanto concerne l’aggiornamento tecnologico dei processi pro duttivi della calzatura. Alle risposte offerte dai fatti –meglio sarebbe dire dai brevetti italiani, che soprattutto a partire dagli anni ’50 diventano sempre più numerosi– si aggiunge anche quella autorevole di uno dei pionieri del comparto nazionale, cioè Pietro Torielli. L’imprenditore di Vigevano sulle pagine dell’Eco ripercorre la storia recente del comparto e sottolinea come a fronte del comportamento opportunistico di alcuni –anche se storicamente giustificabile– occorra rileva re gli sforzi di un insieme consistente di imprese che hanno puntato sull’inno vazione e sul miglioramento delle macchine e sulla loro competitività. “[T] ale industria, sorta con sacrifici ingenti, capitale italiano e tecnici italiani, dà oggi diret tamente o indirettamente lavoro e quindi pane quotidiano ad oltre mille operai. [..] E sappiamo che vi sono officine che si dedicano a tali sistemi. Però sentiamo anche il dovere di affermare che in Italia ci sono parecchie officine che non copiano, ma studia no, creano, e spendono fior di quattrini, talvolta anche profondendoli invano, per po ter offrire all’industria delle calzature sempre nuovi mezzi per perfezionarsi.” 4 Pietro Torielli prende quindi spunto dalla polemica sulle ripercussio ni dell’arretratezza tecnologica italiana e utilizza le pagine dell’Eco per pro-
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