ATOM _- Autobiografia di un'impresa metanazionale

logo. Impresa meccano-calzaturiera che negli anni Cinquanta sarebbe diventata di gran lunga una delle più grandi, “tanto da essere 4 o 5 volte più grande di un’impresa del comparto di medie dimensioni”, la Ferrari proprio in quel torno d’anni decise un “progressivo disimpegno dalle macchine per la lavorazione delle calzature in cuoio [...] per concentrarsi nello sviluppo e nella produzione di quelle destinate al sintetico, ove i risultati dell’investimento tecnologico ap paiono essere più remunerativi e meno riproducibili, almeno inizialmente” 20 . Nel contempo, proprio agli inizi degli anni Sessanta, Atom scelse di ab bandonare la produzione di vulcanizzatrici, avendo dato avvio nel 1958 alla costruzione di macchine per il taglio ricalcate su modelli tedeschi. Sicché Atom fu tra le prime imprese a offrire un prodotto affidabile con marchio italiano nel settore delle fustellatrici. D’altronde, i tre soci fondatori presero tale decisione proprio considerando come le macchine vulcanizzatrici fossero condizionate nel loro funzionamento da una eccessiva dipendenza dalla produzione su commessa per gli stampi. Così, preferirono individuare un nuovo segmento in cui sfruttare le proprie competenze dedicando risorse alla produzione di trance, ovvero di fustellatrici oleodinamiche, un prodotto nuovo e con grandi potenzialità competitive. Per dipiù, se la scelta operata dai tre fondatori individuava il segmento germinale e ineludibile del processo produttivo della calzatura (il taglio della tomaia e della suola), la fustellatrice mostrava oltretutto una duttilità e versatilità funzionale che ne estendeva l’utilizzazione anche in settori differenti, benché prossimi, come la pelletteria 21 . Che, poi, la decisione presa fosse stata corroborata anche da un successo commerciale, trova conferma nel dato che riguarda l’incremento nella pro duzione di fustellatrici registrato da Atom tra il 1958 e il 1960: si passò infatti da 4 unità a ben 196 22 . Sicché, come si vede, l’affidabilità del prodotto aveva permesso all’azienda di ottenere una buona performance che, in linea con le caratteristiche del settore, aveva il proprio punto di forza nella costruzione di una sola famiglia di macchine, specializzazione che, ormai, rendeva obsoleta la necessità di un catalogo di macchine completo, minando in questo modo le basi dell’iniziale vantaggio competitivo di imprese generaliste quale era stata, ad esempio, l’Antonio Ferrari, per rimanere in Italia, e quale era l’americana Usm, in ambito internazionale. Erano, quegli, gli anni (dal 1951 al 1961) in cui si andava realizzando un processo di ampia formazione di piccole e medie imprese e, in particolare, le imprese meccaniche leggere registravano un aumento dei loro addetti sul totale manifatturiero così da passare dal 20,8% al 28,4%. Nel corso, quindi, di quella che correttamente Michele Salvati ha definito “la più grande ondata di accumu lazione che la storia economica del nostro paese abbia registrato” 23 , l’industria meccano-calzaturiera vigevanese definiva le condizioni che in più comparti

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