ATOM _- Autobiografia di un'impresa metanazionale
nella precedente esperienza brasiliana, l’insuccesso non sarebbe stato un’opzione accettabile. Fosse pure costata anni di costanti investimenti e milioni di miglia d’aereo, per chi come Atom voleva stare vicino alla Fabbrica del Mondo e al nuovo cuore pulsante del settore calzaturiero, la Via della Seta era una strada obbligata, senza la via d’uscita d’un ignominioso ritorno. Le basi organizzative per l’avvio della sfida di una presenza diretta in Cina erano state poste durante la seconda metà degli anni ’90. Nel novembre del 1996, Atom partecipò a un road-show della tecnologia meccano-calzaturiera italiana per il mercato cinese organizzato congiuntamente da ice e Assomac. L’ice aveva a tal scopo organizzato due diversi simposi tecnologici dedicati alla presentazione delle aziende italiane partecipanti e dei loro prodotti, precedute da una relazione tecnica curata da Assomac. Pur con tutti i pregevoli sforzi messi in atto, Assomac non poteva certo supplire da sola alle sempre più evidenti e strutturali carenze imprenditoriali e, prima ancora, culturali di gran parte delle imprese associate che si trovavano a doversi confrontare con la colossale sfida cinese. La mancanza di una sintesi tec nologica e organizzativa delle esigenze specifiche dei calzaturieri cinesi emerse dall’approccio di molte delle ditte italiane che parteciparono a quell’importante road-show . A essere deficitaria era la stessa logica imprenditoriale delle aziende italiane che si presentavano al cospetto di molti potenziali clienti cinesi. Nonostante potessero sfruttare un supporto di massimo livello istituzionale nazionale e settoriale, come quello di ice e assomac, le imprese italiane presenti al road show – e si trattava all’epoca di alcuni tra i più blasonati marchi del settore – non si discostavano molto dalla logica della pura esportazione di prodotti italiani, peraltro nelle loro versioni originali. Non era ancora stato avviato un vero e proprio processo di revisione e adattamento delle soluzioni tecnologiche alla luce delle specificità cinesi. Quella logica un po’ miope, basata sul modello del puro export di prodotto, diventava addirittura un approccio “mordi e fuggi” quando la delega al mercato cinese veniva superficialmente affidata ad agenti incaricati della rivendita di macchinari italiani. La disattenzione degli imprenditori, insieme all’oggettiva difficoltà e fatica a padroneggiare la complessità del mercato cinese, avevano infatti portato molte aziende a considerare la Cina come un riempitivo di lusso nella loro semplice strategia di esportazione. Ma la Cina non poteva essere trattata alla stregua di altri mercati minori. In Estremo Oriente più che altrove, la reputazione, l’affidabilità e la stabilità delle scelte di lungo termine costituivano elemento essenziale per fondare una proficua relazione di business . Invece ad Atom arrivavano sistematicamente numerose voci di clienti cinesi che si lamentavano della scarsa assistenza rice vuta e dell’altissimo costo dei pezzi di ricambio delle aziende italiane. Durante
atom con gli occhi a mandorla
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