ATOM _- Autobiografia di un'impresa metanazionale
Anzi, mettevano in questione i fattori stessi del successo di cui il comparto ita liano fino a quel momento aveva goduto: ovvero la frammentazione del settore, la piccola dimensione aziendale 3 , la specializzazione produttiva, l’approccio indiretto al mercato. A questi ostacoli di carattere strutturale venivano ad aggiungersi gli scenari che un’impresa italiana doveva saper affrontare per poter competere e radicarsi in Cina. Infatti, scelte di fondo, davvero ardue, andavano intraprese a ridurre l’incertezza che tale opzione delineava: dalla forma societaria (se joint-venture o Wholly Foreign Owned Enterprise ) alla localizzazione (in una Free Trade Zone ); dalla selezione del management 4 alla registrazione dei marchi e alle coperture dei brevetti; dalle modalità contrattuali verso fornitori e clienti alle regole di accesso al mercato del lavoro; dalle modalità di interazione con il sistema bancario e finanziario alle scelte fiscali, a quelle, infine, legate alla proprietà degli immobili. Per Atom l’avventura cinese qualificava, comunque, un approdo importan tissimo, che era andato maturando negli anni e che ben si inquadrava in quella “lunga marcia” di avvicinamento al colosso orientale avviata da Assomac a par tire dal 1984, organizzando una missione economica in quel paese e ospitando, al Simac , una delegazione dei maggiori esponenti del settore calzaturiero cinese 5 . Senza dubbio fu azione efficace quella svolta dalla associazione di categoria se, nella primavera del 1986, il direttore generale del Ministero dell’ Industria Leggera Cinese aveva affermato che l’ Italia, nel settore delle macchine per cal zature, era l’interlocutore privilegiato 6 . Tuttavia, l’accordo siglato con le autorità cinesi nel dicembre di quello stesso annomostrò ben presto quanto fosse difficile l’interazione con un attore economico così differente, al punto che il presiden te Lorenzo Lorenzin, nel corso della sua relazione all’Assemblea generale di Assomac, tenuta il 24 giugno 1988, aveva dovuto osservare con una vena di amarezza come lo sforzo fino ad allora profuso in Cina non avesse raggiunto obbiettivi adeguati, e come i cinesi fossero stati gli unici a beneficiare dei risul tati scaturiti dall’intesa 7 . Anzi, nella relazione dell’anno successivo, Lorenzin non poteva far a meno di notare che – nonostante previsioni ottimistiche legate al ritmo di crescita del comparto cinese (30% per la produzione di macchine per calzature) – “il mercato si presenta ristretto e difficile” e “la promozione sino a qui svolta, con notevoli investimenti, non ha sostanzialmente portato ai risultati sperati” 8 . Tuttavia, a metà degli anni Novanta l’insoddisfazione per le incertezze in cui versava la realtà economica cinese lasciò il passo alla consapevolezza che “il futuro ci imporrà di prendere atto che ormai il 65% della produzione calza turiera è in Asia dove il nostro settore non è ancora presente adeguatamente e, dove, nonostante le difficoltà, ci sono spazi di mercato che abbiamo il dovere di conquistare” 9 . Resta vero che i dati quantitativi riportati dalle relazioni degli anni 1995-1997 includevano la realtà cinese all’interno del più generale andamento
atom in cina e la “regola aurea”
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