ATOM _- Autobiografia di un'impresa metanazionale

che misuravano accuratamente produttività, consumi e indicatori di efficienza dei sistemi Atom installati presso le proprie linee produttive fu un grande e proficuo bagno di umiltà per tutto il personale tecnico e commerciale. Atom, pur sempre dominatrice mondiale e indiscussa sul proprio segmento di mer cato del taglio, accettava di tornare sui banchi della dura scuola del mercato nel lontano ed esotico Brasile. E questo avveniva su tutta la gamma di prodotti, partendo dalle innovazioni sui variatori di potenza applicate alle tradizionali fustellatrici a braccio, fino alle fustellatrici automatiche, per finire ai sistemi di taglio in continuo. Il linguaggio tecnico e commerciale di Atom, sottoposto alla torcida tropicale delle fabbriche brasiliane, si arricchì di argomenti e metodi, imparò a produrre nuove tabelle e dati di produttività, maturò nella capacità di spostare il proprio focus dall’ossessione perfezionistica sul prodotto verso la necessità di parlare il linguaggio del cliente, di comprenderne il contesto e di sviluppare servizi di supporto e miglioramento continuo. Il mondo commercialmente perfetto vissuto fino ad allora da Atom, fatto di macchine standard prodotte in serie, quotate ai rivenditori con prezzo franco fabbrica e caricate su un container per raggiungere tutte le destinazioni del mondo senza particolare preoccupazione per la loro indiscussa affidabilità e giustificazione tecnica, era improvvisamente diventato molto più complicato. Fu una grande fortuna. Rimettere piede nelle fabbriche dei clienti di un altro continente non solo per qualche occasionale riparazione ma per immergersi nei processi produttivi e ricavarne idee e dati per lo sviluppo e l’innovazione del prodotto fu una lezione fondamentale per indirizzare i successivi sviluppi strategici dell’azienda. Il rischio di richiudersi nella torre d’avorio dei propri stabilimenti vigevanesi, cullandosi sull’eccellenza di prodotto e trascurando il quotidiano rapporto con i clienti finali, era scongiurato. Atom, certamente prima e purtroppo tra le poche aziende del distretto vigevanese, capì in tempo gli effetti potenzialmente letali della “sindrome di Pirmasens”, ovvero di quella autoreferenzialità e di quella scarsa volontà di rimettersi in discussione rispetto alle esigenze dei diversi mercati locali che ave vano progressivamente marginalizzato gli storici marchi di produttori tedeschi di macchinari sorti intorno al distretto dell’omonima cittadina della Renania Palatinato. Le indicazioni di storia economica emerse dall’esperienza dei mercati inglese e tedesco avevano chiaramente dimostrato che se gli imprenditori del comparto meccano-calzaturiero fossero rimasti statici e staccati dal nomadi smo strutturale del proprio settore manifatturiero di riferimento, avrebbero progressivamente perso il contatto con l’evolversi delle esigenze dei clienti e sarebbero stati prima imitati e poi superati dai produttori locali. Atom stessa, peraltro, era la dimostrazione vivente di quel processo d’imitazione primaria e di miglioramento continuo che le derivava dall’essere nata, nell’immediato dopoguerra, in un distretto che stava vivendo un boom della manifattura cal-

181 atom in brasile, laboratorio di sPerimentazione di Prodotti e Processi

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