Il settore calzaturiero

nazionale) sia per il suo contributo all’esportazione (anch’essa intorno al 90% di quella italiana), vantando una tecnologia d’avanguardia, che anticipava, persino, le esigenze potenziali del calzaturiero. 25

Negli ultimi vent’anni, dal 1981 al 1991, il calzaturiero del distretto vigevanese, secondo i dati censuari, perse circa un quinto delle imprese, diminuite da 898 a 572, e metà degli addetti, calati da 10.498 a 5.204; questa tendenza negativa venne confermata anche dal censimento intermedio del 1996, quando si giunse a 458 aziende, con 4.798 dipendenti, e da quello del 2001, pur essendo le sue elaborazioni ancora provvisorie. Quantunque i dati statistici non permettano valutazioni altrettanto precise a causa della complessa articolazione del comparto, un analogo andamento riguardo alle imprese e agli addetti, ma di entità meno consistente, dovrebbe aver subito, negli stessi anni, la subfornitura, che solo recentemente è stata oggetto di analisi più approfondite, come avrebbe meritato da tempo. Sino al 1991, l’unico comparto in crescita nelle imprese, ma in calo negli addetti, pur avendo incontrato difficoltà nella seconda metà del decennio, fu il meccanico, che giunse a superare il calzaturiero, passando, come numero d’aziende, da 1017 a 1067, e per consistenza di addetti, da 7.500 a 7.193; il censimento intermedio del 1996, già definitivo, e quello del 2001, ancora incompleto, dimostrano, però, un suo calo nel numero di imprese e degli addetti. 26 Sino alla fine dell’Ottocento, nel settore calzaturiero, i lavoratori sedentari svolgevano generalmente la loro attività in un solo locale, fornito di tutta l’attrezzatura necessaria alle fasi di lavorazione e distinguibile in laboratorio o bottega, se privo o dotato di vetrina per l’esposizione dei prodotti. Quelli ambulanti, invece, quando rimanevano in città, operavano nella loro abitazione o all’aperto, in vie o piazze diverse, occupando i luoghi più adatti per esercitare, senza disturbo, il loro folcloristico lavoro, accompagnato da discussioni, declamazioni e canti, secondo le occasioni o gli interlocutori. Invece, durante l’emigrazione stagionale, dopo aver accuratamente evitato di acquisire come nuovi clienti quelli già serviti dai loro colleghi, praticavano il mestiere nella casa o nella stalla del committente, usufruendo, come parziale ricompensa, del suo vitto e alloggio. 27 Il complesso procedimento produttivo, articolato in misurazione, costruzione di forme, realizzazione di modelli, taglio, orlatura, montaggio e finissaggio, era svolto interamente a mano dal mastro artigiano, coadiuvato dai lavoranti, costituiti da famigliari ed estranei. L’attrezzatura era costituita dal tradizionale deschetto (quando era utilizzabile), con gli arnesi essenziali da misura, taglio, foratura, cucitura, battitura, estrazione, raspatura, limatura, finitura e gli altri integrativi, dalla mutevole varietà. I metodi lavorativi, secondo il riferimento tradizionale alla fase di montaggio, erano diversi ma facilmente riconducibili ai tre fondamentali: il cucito, l’inchiodato e il rovesciato, nella loro comune accezione, riguardante la diversa tecnica adottata nell’unione tra la tomaia e il fondo. 28 L’avvento dell’industria calzaturiera, nel 1866, con le sue nuove esigenze dimensionali, spinse, dapprima, all’ampliamento di vecchi laboratori o all’utilizzo di locali aventi, in precedenza, una diversa destinazione, favorendo numerose ristrutturazioni. Successivamente, dall’inizio del Novecento, furono costruiti i primi edifici specifici per le fabbriche calzaturiere, seguiti, nel tempo, da una loro ampia diffusione, secondo stili diversi, con la frequente combinazione tra lo stabilimento e l’abitazione del proprietario. Un impulso decisivo verso l’attuazione di moderne costruzioni industriali, i cui criteri furono progressivamente adottati fino ai nostri giorni, venne impresso dall’avvio delle prime aziende per la produzione di calzature in gomma, con edifici dalla dimensioni consistenti. 29 Sino all’inizio del Novecento, nelle fabbriche parzialmente meccanizzate, a cominciare dalla fase di montaggio, erano applicate due diverse organizzazioni dell’attività produttiva: quella “a squadre” (divisione del lavoro, per più mansioni, tra individui) e quella “a giro” (divisione del lavoro, per una sola mansione, tra individui o gruppi). Le piccole aziende adottavano, in prevalenza, la lavorazione “a squadre”, composte generalmente da un uomo e due donne; l’uomo curava il montaggio, con l’eventuale aggiunta delle operazioni più pesanti, una donna eseguiva le chiodature e l’altra le operazioni di finissaggio. In quelle grandi, era preferita la lavorazione “a giro”, soprattutto quella tra gruppi, in cui il L’ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO.

25 Idem 26 Idem 27 L. Barni, Vigesimum, Vigevano 1951, pp. 257-259. 28 R. Pareto, Enciclopedia delle arti e industrie, Volume secondo, Voce Calzolaio, Zoccolaio, Torino 1880, pp. 152-159; G. Borroni, L’arte del calzolaio e la calzoleria meccanica, Milano 1923, pp. 3-303.

29 R. Pareto, Enciclopedia…, cit., pp. 159-170; G. Borroni, L’arte…, cit., pp. 35-42.

Made with FlippingBook - professional solution for displaying marketing and sales documents online