I BONACOSSA

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ANTONELLA MORONI TREVISAN

I BONACOSSA: UNA DINASTIA SUL FILO DELLA SETA

” Non conoscere ciò che accadde prima che nascessimo, è come rimanere sempre fanciulli.”

Cicerone

Nota dell’autrice

H

o scoperto la Famiglia Bonacossa per caso, durante la stesura del mio ultimo libro “Destini imperfetti”. Volevo collegare un personaggio del romanzo alla storia della mia città di Vigevano, anche se la trama trattava tutt’altro argomento. La linea di congiunzione poteva essere una famiglia storica di Vigevano. Feci una breve ricerca negli archivi e notai che la maggioranza venivano ricordate solo per uno dei componenti che si era distinto dando lustro al suo casato di appartenenza, mentre per quanto riguarda i Bonacossa ogni componente non solo si distinse per meriti imprenditoriali ma anche per ogni personale peculiarità che ne fece dei personaggi unici. Per questo motivo ne rimasi affascinata. Nel leggere

questa monografia non aspettatevi solo dati storici ma avrete una mia personale interpretazione della figura di ogni personaggio con cui ho “vissuto”, anche se in modo virtuale un periodo della mia vita, allietando lunghi inverni con le mie ricerche. Per meglio comprendere è doveroso illustrare il percorso storico che li ha portati da Dorno a Vigevano e poi in tutta Italia e nel Mondo, ma la storia della seta ha un inizio molto romantico. Una leggenda racconta che una imperatrice cinese Lei-Tsu bevendo un the nel suo giardino vide cadere nella tazza di porcellana un bozzolo che a contatto del caldo della bevanda si dischiuse dando origine alla seta…. Lei infastidita tolse il bozzolo dal suo the e scoprì che il filo che si dipanava copriva l’aiuola senza interrompersi per parecchi metri. Senti la morbidezza e vide la sua lucentezza. Si accorse della crisalide all’interno e scoprì che nel suo giardino vi erano molte piante di gelso, di cui si nutriva. Chiese a suo marito di farne piantare altre per poter nutrire i bachi ed avere seta per i suoi vestiti e di tutta la Corte. Per questo fece costruire un telaio per tessere… ma questa è solo una romantica leggenda …… Non si conosce esattamente in che modo fu scoperta la seta, anche se la Cina ne ebbe il monopolio dal 3.000 A.C., molto prima dell’Europa.

Antonella Moroni Trevisan

Introduzione a famiglia, anzi la Dinastia dei Bonacossa di cui parleremo non è solo la storia di una famiglia d’imprenditori all’avanguardia dei tempi, precursori dell’industrializzazione di Vigevano, che hanno dato un cambiamento epocale allo sviluppo dell’economia Vigevanese e dei suoi abitanti in un periodo storico (prima metà del ‘800) di recesso e di criticità per la nostra zona e non solo. I Bonacossa non sono stati solo imprenditori di successo, pionieri nel comparto serico, ma al di là di questo si sono distinti per le loro peculiarità personali divenendo: filantropi, scrittori, editori, sportivi, alpinisti e tennisti a livello mondiale, studiosi orientalisti, lasciando sempre una loro impronta in ogni campo, non trascurando la loro principale attività e mai dimenticando il loro luogo d’origine Dorno, a cui tutt’oggi sono legati indissolubilmente da tradizioni e affetti. Per meglio conoscere i componenti di questa grande Famiglia che animerà il nostro viaggio nel tempo, ho riprodotto il loro albero genealogico. L

Il loro luogo d’origine DORNO da cui si evolverà la loro vita è rappresentato dal Municipio anch’esso dono dei Fratelli Conti Bonacossa.

Li incontreremo in questo viaggio nel tempo, nel contesto storico di appartenenza fino ai giorni nostri, svelando il lato umano che da sempre li ha contraddistinti.

L’inizio

E

ra il 1860 quando Vincenzo Bonacossa e suo figlio Luigi aprirono in Via Cairoli a Dorno in provincia di Pavia, la loro prima Filanda per la lavorazione della seta

Vincenzo Bonacossa nei ritratti dell’epoca sia di Biagio Canevari sia del più famoso Eleuterio Pagliano di cui parlo successivamente, danno l’immagine di un uomo tenace, saldo nei suoi principi ma semplice e dallo sguardo onesto che ha saputo sfidare le difficoltà del suo tempo anche nel passare dall’agricoltura ad un’impresa impensabile come aprire una filanda su schemi industriali già avanzati ed istruire del personale che fino a poco prima era impiegato solo nell’agricoltura. Rimase sempre legato alla sua terra d’origine, come molti dei suoi discendenti.

La Filanda di Dorno era dotata di caldaia a vapore che sostituiva le caldaie a legna o carbone per mantenere calda l’acqua delle bacinelle per la trattura della seta (50°/60°) e per azionare le macchine per la lavorazione. Contava di 120 bacinelle per la trattura, lavoravano 266 operaie per un ciclo produttivo interamente manuale. In un secondo opificio, sempre a Dorno, lavoravano 80 donne su 800 fusi, per la filatura per un periodo all’anno di 150 giorni circa, seguendo la fase stagionale di produzioni dei bozzoli. Un uomo

La prima filanda Bonacossa a Dorno

sovraintendeva a queste operazioni, ma il lavoro era prettamente femminile e manuale. Si lavorava dall’alba al tramonto, (da un “Ave Maria” all’altra). Le ragazze iniziavano il lavoro in filanda all’età di dodici anni. Ogni filatrice produceva in media 600 grammi di seta al giorno.

Si lavorava dieci ore al giorno d’inverno e undici d’estate. La paga giornaliera nel 1910 era di una Lira e mezza; le più esperte arrivavano a due Lire e sette soldi. L’attività di trattura era sospesa solo per la “ monda del riso ”, che in una zona prevalentemente agricola, costituiva un altro introito importante per il bilancio domestico. Le donne in Primavera ed estate erano occupate nelle campagne alla raccolta delle foglie di gelso, unico nutrimento per i bachi

Filatrici al lavoro

da seta che doveva essere freschissimo. Andavano a “far foglia” come dicevano allora, ovvero a raccogliere foglie di gelso nelle campagne. Nell’800 Dorno come tutti i luoghi agricoli della Lomellina, non diversi dalle città di tutto il Nord d’Italia e oltre, registravano condizioni di vita precarie. Le abitazioni erano estremamente disagevoli, le case anguste e fredde, gli spazi comuni limitati e condivisi da più persone. Uomini e animali condividevano spesso gli stessi spazi, privi di nozioni igieniche. Molti detti in dialetto lomellino sono rimasti da allora nel linguaggio comune fino ai nostri tempi: “Tra la testa tam me un bigat” muove la testa in modo oscillatorio alludendo al movimento tipico dei bachi adulti per disporre la seta (bava) in bozzolo. Oppure “Ghe andai mal i bigat!!!” ovvero è sfumato un importante affare. Dorno, come tutti paesi della Lomellina, prevalentemente agricoli

era molto diverso da come lo vediamo ora dotato di quei servizi che sono per noi di uso abituale e scontato, come l’illuminazione elettrica, l’acqua potabile in casa, il riscaldamento, abitazioni confortevoli e strade asfaltate e illuminate. La maggioranza della gente lavorava nelle campagne, l’istruzione era limitata, l’analfabetismo imperante. L’alimentazione era basata prevalentemente sui cereali e quasi del tutto priva di carne e alimenti proteici. Tutto questo contribuiva alla diffusione di malattie come la pellagra, la tubercolosi, il vaiolo, le affezioni gastro-intestinali (tifo-paratifo) la malaria, che colpivano principalmente i bambini. Non esisteva un controllo demografico e le famiglie erano numerose in media sei sette figli o più. Il numero dei componenti del nucleo famigliare veniva in parte ridimensionato dalla alta mortalità infantile. Le strade erano di terra battuta, buie e pericolose. Non c’erano mezzi di comunicazioni e quelli di traporto eranomolto limitati. Questo paragone con i nostri tempi rende ancora più toccante questa condizione sociale, tanto lontana nel tempo. Si stima che nel 1860 avveniva a Dorno la torcitura della seta di tutta la zona della Lomellina. La prima filanda dei Bonacossa a Dorno lavorò in concomitanza con le successive fino al 1930 e

Sempre in dialetto il baco=Bigat—il gelso=Morou—bozzolo=Galata—bolozzoli=Gallett—la crisalide=Bigatou---la stuia=Stora di bigat. Le ragazze della filanda =sedarole

divenne poi una manifattura di tabacchi per tutti i Dornesi “ La Tabachera ”.

Innovazioni tecnologiche

ccorre tenere conto dei cambiamenti dell’economia in Europa che influenzavano l’andamento dei mercati agricoli e tessili con l’avvento di macchinari innovativi e nuove leggi. In particolare in Gran Bretagna alcuni mutamenti nel settore agricolo si erano già verificati in epoca anteriore al periodo delle guerre di Napoleone; Townschend introdusse il sistema di rotazione delle culture e Jethro Tull dal 1750 al 1789 introdusse la sarchiatrice a cavallo, innovazione per agevolare e velocizzare i lavori agricoli. La Gran Bretagna fu la fautrice delle prime leggi sulle recinzioni dei terreni, prima per consuetudine mantenuti di comune proprietà ( Commons ), che permisero negli anni successivi di essere dichiarati proprietà privata, che si basava sul principio del possesso de dell’uso personale. La recinzione dei terreni era rivolta alla necessità di contenere i numerosi allevamenti di pecore per la lana. Questi cambiamenti diedero l’inizio a quella che sarà la Rivoluzione industriale di fine secolo. Nel 1815 tuttavia la Francia aveva mantenuto saldo, grazie ai dazi Napoleonici sulle esportazioni delle materie prime dagli stati conquistati, la produzione della seta; pur trovandosi impoverita dalle guerre (“Campagne”) Napoleoniche che avevo impiegato uomini tolti all’agricoltura e distrutto interi raccolti. La Francia si vede costretta ad importare grano e cereali dalla Gran Bretagna. Mentre nella filatura delle materie tessili era impiegato il telaio a mano e solo successivamente al 1815 quello meccanico inventato da Edmund Cartwright che diede un incremento crescente ai prodotti filati. La più importante scoperta della scienza che divenne simbolo della Rivoluzione industriale fu la scoperta della macchina a vapore che venne impiegata nelle O

lavorazioni industriali e per i trasporti terrestri e fluviali. Trasporti ferroviari, fluviali leggeri per trasporto di passeggeri (battelli a vapore) e piccoli carichi e pesanti per trasporto merci e per trasporto di merci e marittimi ne fecero largo uso consentendo lo sviluppo e il collegamento in tutta Europa e anche nel nuovo Continente. La prima ferrovia a vapore pubblica fu inaugurata nel 1826 in Gran Bretagna la “Stocton & Darlington”, soltanto dopo nel 1850 la rete ferroviaria raggiunse i 6.600 miglia. La macchina a vapore di James Watt fu la chiave di successo in Inghilterra, introdotta alla fine del 1700, dove iniziò una vera Rivoluzione industriale ma non solo. Doveroso è dare qualche cenno a riguardo. James Watt perfezionò il funzionamento della macchina a vapore avvalendosi delle prime rudimentali intuizioni del principio scoperto dal francese Denis Papin nel 1690 costituita da un cilindro entro il quale veniva portata ad ebollizione dell’acqua. La pressione prodotta dal vapore sollevava uno stantuffo che scorreva all’interno del cilindro. Nel 1705 lo scozzese Thomas Newcomen inventò la macchina a vapore applicata ai processi industriali, che prevedeva una pompa a pistone, la quale veniva azionata da un motore a vapore a condensazione interna. La macchina di Newcomen fu impiegata soprattutto per consentire una facile estrazione di carbone nelle miniere, potendo in tal modo pompare l’acqua fuori dalle miniere di carbone, di cui la Gran Bretagna deteneva i maggiori giacimenti. La macchina a vapore di James Watt fu la prima macchina a vapore a condensatore separato. Watt si avvalse delle intuizioni di Newcomen ma le perfezionò consentendo di rendere il metodo più sicuro ed utilizzabile su impianti di maggiori dimensioni. Venne messa a punto fra il 1773 e il 1775. La differenza dalla precedente consisteva in un condensatore esterno e del moto rotativo. Due fattori in sinergia che costituirono il perno della Rivoluzione industriale che diede un cambiamento epocale non solo all’economia ma un cambiamento sostanziale e sociale vedendo molta forza lavoro contadina spostarsi verso le prime fabbriche. Nell’Italia da poco costituita, erano pochi gli imprenditori che potevano investire in macchinari a vapore. I Bonacossa furono in questo dei precursori. L’intuizione che i nuovi macchinari a vapore potevano fare la differenza, fu una formula vincente.

Vincenzo Bonacossa e i suoi primi due figli Luigi e Pietro sapevano che Vigevano era considerata la città della seta per eccellenza dai tempi più antichi e decisero di aprirvi una filanda nel 1868 nella zona denominata “ ponte della Giacchetta ” a Vigevano. L’edificio contava di tre piani di cui uno interrato per le tre fasi, in ordine ascendente della lavorazione della seta. (Trattura- torcitura-filatura). Per la lavorazione della seta l’elemento fondamentale è

Il ponte della Giacchetta

l’acqua. La filanda da un lato è bagnata dal naviglio sforzesco che fornisce acqua in quantità. Investono in macchinari all’avanguardia dei tempi con caldaie rigorosamente a vapore per le lavorazioni, sfidando il periodo di assoluta crisi del comparto serico della città dovuto alle conseguenze dell’arresto nel settore per i dazi napoleonici (29% sulla seta greggia), per cui molti filandieri avevano trascurato le loro filande riversando ogni attenzione verso i loro appezzamenti agricoli, unico bene di rifugio in periodi difficili. In aggiunta era comparsa un’epidemia che colpiva i bachi da seta (provenienti da semi nigeriani) compromettendo la produzione di bozzoli. Molti bachi

erano colpiti da calcino, flaccidezza e non arrivano neppure a completare il loro ciclo produttivo. L’epidemia (proveniente da allevamenti in Francia) si era diffusa rapidamente attraverso le spore degli allevamenti procurando una carenza sostanziale della materia prima. Le piccole filande avevano ancora in uso

macchinari obsoleti, con fornelli a legna per la trattura come in origine, non avendo più investito da tempo in quella che anni addietro era l’attività principale. Vincenzo Bonacossa e i suoi figli Luigi e Pietro avevano acquistarono dei semi di baco da seta di origine orientale, resistenti all’epidemie. Avevano due

L'impiego dei Fanciulli, il lavoro minorile non era ancora regolamentato

Sen. Vincenzo Roncalli Nel 1871 Vincenzo Bonacossa e suo figlio Luigi avevano acquistato le filande da quelle minori al setificio del Senatore Vincenzo Roncalli e dei fratelli Giuseppe e Giovanni Battista Negrone. Fu chiara l’urgenza di provvedere ad una nuova sistemazione per ingrandire la produzione per un lavoro su larga scala, considerando le potenzialità della tecnologia avanzata per l’epoca di cui disponevano, delle maestranze delle filande assorbite che conoscevano l’arte di lavorare la seta e della nuova costruzione del ponte sul Ticino inaugurato l’anno prima nel 1870 su progetto dell’Ing. Galeazzo Garavaglia su commissione della Società Anonima della ferrovia Vigevano-Milano e di relative vie tranviarie verso Novara e Ottobiano. Decisero di aprire una terza filanda, considerando che la filanda di Dorno continuava ad essere attiva e lo sarà fino al 1930, per questo motivo si scelse di far sorgere il nuovo edificio in Via Rocca vecchia, angolo Via Carlo Alberto (attuale Via Buozzi) acquistando anche terreni della Curia Vescovile adibiti ad uso agricolo (ortaglie) e piccoli caseggiati esistenti, molti dei quali rurali. Seguirono parecchie perizie per determinare il prezzo effettivo e liquidare i proprietari. L’idea era di edificare una “filanda modello” mai vista prima, per questo fu incaricato del progetto l’Ing. Svizzero Karl Frederich Schinkel che già dai suoi viaggi in Gran Bretagna nel 1826 aveva avuto modo di studiare l’architettura industriale delle filande inglesi ed in particolare di Manchester. Giovanni Battista Negrone punti a loro favore: un vantaggio assoluto per i macchinari: macchine a vapore che riducevano i tempi di lavorazione aumentano la produzione e semi per l’allevamento dei bachi resistenti alle malattie, quindi bozzoli da lavorare. La fase principale, la trattura veniva eseguita da 655 addetti su 525 bacinelle. Le piccole filande, alcuni erano solo piccoli laboratori, non resistettero all’impatto con una produzione avanzata e dovettero cedere l’attività ridotta allo stato fallimentare.

E’ utile dare un cenno alla costruzione dell’edificio che fu progettato su innovativi criteri architettonici che esaltavano la funzionalità ed il rigore compositivo adatto ad un luogo di lavoro, quindi privo di orpelli molto in voga nello stile dell’epoca, ma essenziale e funzionale. L’edificio contava cinque piani più seminterrato, sviluppato in lunghezza, con ampio frontone, scandito da un susseguirsi di ampie finestre per tutta la sua lunghezza e vari accessi per il trasporto delle merci, dotato di un’alta ciminiera. La fabbrica, all’avanguardia per i tempi, dava lavoro ad 800 operai effettivi più avventizi e stagionali, dotata di macchinari a vapore per un lavoro a ciclo continuo. Fu inaugurata nel 1871, l’anno successivo l’apertura del ponte sul Ticino a cura dell’architetto Galeazzo Garavaglia per La Società Anonima Ferrovie. La posizione volutamente strategica dei terreni annessi di loro proprietà, vicinissima alla stazione ferroviaria, raggiungibile facilmente con mezzi di trasporto per carico/scarico merci aveva agevolato il commercio della seta prodotta e l’approvvigionamento di bozzoli provenienti da zone più lontane sfruttando la strada parallela alla ferrovia che congiungeva Vigevano ad Abbiategrasso e altri comuni del Milanese, le vie tranviarie verso Ottobiano facevano il resto. Nei magazzini erano custoditi le riserve di bozzoli essiccati, indispensabili per la produzione a ciclo continuo, quindi industriale, che non seguiva più l’alternarsi delle stagioni. Fu edificata adiacente ad un corso d’acqua “il naviglio sforzesco” che costeggia Via Rocca Vecchia allora come oggi. L’acqua è un elemento fondamentale per la lavorazione della seta. La filanda Bonacossa a ciclo continuo era all’avanguardia dei tempi e produceva a ritmi impensati. I pavimenti in legno, il soffitto sempre in legno come le scale i montacarichi, le merci immagazzinate ed alcune parti dei macchinari, si presume fosse stata la causa scatenante del propagarsi del terribile incendio che la notte del 7 Gennaio 1877 distrusse la filanda lasciando solo le parti in muratura e con pochi danni l’edificio adibito all’abitazione della Famiglia Bonacossa, tutt’ora visibile in Via Rocca Vecchia. Raccontano che le fiamme dell’incendio sovrastavano l’altezza dei cinque piani della filanda e continuavano per tutta la sua lunghezza.

Il pittore vigevanese Giovan Battista Garberini che si trovò per caso sul luogo, dipinse la scena nel suo famoso quadro “L’incendio alla filanda Bonacossa - 7

Gennaio 1877”, nel quale non solo si autoritrasse fra i personaggi, ma nel

L'incendio Della Filanda Bonacossa di G.B. Garberini

Particolare del dipinto: Bonacossa ed i Figli centro del dipinto ritrasse Vincenzo e due dei suoi figli Luigi e Pietro e Giuseppe, che in seguito sarà eletto Deputato. Particolare centrale del dipinto. Manca nel ritratto l’ultimo figlio Cesare nato a Dorno nel 1850, ma per questo non meno importante. Lo vedremo in seguito. Attualmente il quadro appartiene ad una proprietà privata e solo in alcune mostre viene esposto nella Pinacoteca del Castello Sforzesco di Vigevano. Vincenzo Bonacossa e i suoi figli Luigi, Pietro e Giuseppe, non si scoraggiarono e inoltrarono una richiesta di risarcimento danni al Ministero dell’Interno. La settimana successiva l’incendio detto Ministero stanziò Lire 4.000 che venne devoluto agli operai della filanda e la solidarietà dei

vigevanesi, sia degli industriali, dei notabili e delle autorità civili e militari, in particolare dei Comuni di Vigevano e Mortara, contribuirono a triplicare quella cifra. Si deve notare che in quei tempi le famiglie contavano dai 6/7 componenti in media per nucleo, essendo famiglie numerose, quindi con un breve calcolo gli 800 operai effettivi sostenevano dalle 5000/6000 persone. Potete immaginare quanto sia stato importante questo risarcimento.

I fratelli Bonacossa ricostruirono la nuova filanda nella stessa posizione di quella distrutta, anche se non delle stesse dimensioni, meno alta, arrivando a circa metà di Via Carlo Alberto, attuale Via Buozzi con la stessa posizione struttura, dotata di ciminiera e vari accessi. Il rimanente sedime venne cintato fino alla fine di Via Carlo Alberto e fino agli accessi verso la stazione ferroviaria. Riaprì l’anno successivo l’incendio nel 1878 e diede lavoro a 400 operai effettivi più avventizi e stagionali, proseguendo il suo lavoro fino al 1911, come risulta dalla denuncia d’esercizio della Ditta F.lli Bonacossa datata 30 Marzo 1911, che contava 400 addetti sempre a ciclo continuo. Nel 1898 la filanda si dotò di un impianto d’energia elettrica, come vedremo successivamente. Nel 1877 fu acquisita anche la filanda di Carlo Giuseppe Gallini di Voghera, sorta nel 1820 poi passata a diversi proprietari in

La filanda ricostruita dopo l'incendio

seguito quasi dismessa a causa della moria dei bachi da seta dovuta all’epidemia di cui abbiamo parlato prima. Acquistandola, Luigi Bonacossa la potenziò e diede lavoro ad un centinaio di operai, utilizzando 52 bacinelle a vapore per la trattura. Nel 1890 la Filanda Bonacossa era l’unica n funzione a Voghera poi con l’avvento delle materie seriche cinesi e con la seta artificiale, segnò una battuta d’arresto e divenne sede de Consorzio Provinciale dal 1914 fino a circa dieci anni fa.

La Filanda di Voghera

Cenni storici riguardo al ponte sul Ticino: La ferrovia Milano-Mortara importante “via della seta” a realizzazione dell’attuale ferrovia e parallela strada carrozzabile compresa la costruzione del ponte sul fiume Ticino, non fu facile, anzi fu molto sofferta e fortemente voluta. L

Il ponte ferroviario e stradale sul Ticino Fra il 1834 ed il 1837 lo stato Sardo-Piemontese raccolse da privati diversi progetti ferroviari che proponevano di congiungere il porto di Genova con Torino, allora capitale del Regno. Detta linea, passando, doveva congiungere le valli del fiume Po e Tanaro sia con il lago Maggiore e con il Lombardo –Veneto, attraverso la Lomellina e il novarese. Per evitare speculazioni di sorta da parte dei proponenti sui terreni da espropriare, fin dal 1837 il Governo volle istituire una speciale

Giuseppe Arconati Visconti della durata di anni 80, venne rilasciata ad una Società Anonima a capitale privato, rappresentata dal nobile Giuseppe Arconati Visconti e da Antonio Litta, con la sola garanzia statale di un interesse sul capitale impiegato del 4,5%, mentre l’esercizio della linea era affidato allo Stato, dietro corresponsione del 50% dell’introito lordo. Per la compilazione delle stime e la formazione dei capitolati d’appalto, venne dato incarico dalla Società Anonima, all’ingegnere Capo del Comune di Vigevano, Rovere che fu anche l’autore del progetto in appalto e l’ingegner Germano Sommeiller, all’epoca direttore del materiale per le strade dello Stato. Le avversità del tempo, con i conseguenti ritardi, permisero d’inaugurare i 12,6 chilometri della Mortara-Vigevano solo il 24 agosto 1854, con una solenne cerimonia in presenza delle principali Autorità e una gran folla di cittadini entusiasta. Giuseppe Arconati Visconti commissione, la quale fra le diverse soluzioni possibili, doveva valutare anche quella di una via d’acqua che per un sistema di conche dal golfo ligure superava l’Appennino per dirigersi verso la valle del Po. Sicché nel 1840 il Re Carlo Alberto conferiva alla Società genovese Cavagnari & C. l’incarico di redigere un progetto definitivo, di cui furono incaricati due ingegneri: il nazionale Ignazio Porro e l’Inglese Isidore K. Brunel, figlio di Isambrd, importante ideatore di ferrovie nel Regno Unito. L’opera venne ratificata nel 1846, venne dunque dato il via al progetto che fu possibile a sole spese dello Stato. Tale progetto comprendeva la linea ferroviaria che univa Genova per Torino passando da Novi Ligure, Alessandria ed Asti, con una diramazione che da Alessandria dirigeva su Mortara per Novara e raggiungeva dopo 102 chilometri, Arona sul lago Maggiore . Quando si venne a conoscenza dei progetti delle vie di comunicazione fu chiaro che Vigevano era totalmente esclusa dal progetto, che tracciava la linea ferroviaria in linea retta, senza possibili diramazioni per includere comuni limitrofi. Fu allora che illustri cittadini Vigevanesi, pur di non vedere estromessa la loro città da una tanto importante via di comunicazione, si riunirono in Società per costruire una tratta che unisse Vigevano almeno a Mortara. Venne istituita una Società privata senza finanziamenti statali, ma sostenuta in parte dal Comune di Vigevano che solo sottoscrisse ben 1100 delle 2040 azioni da lire 200 emesse per l’opera. Dopo aver ottenuto il Decreto Reale che ne ratificava l’intenti, con la Legge 11 Luglio 1852, una Concessione per la costruzione di un “Tronco di Strada Ferrata da Mortara a Vigevano”

Questo tratto di breve ferrovia fece per Vigevano la differenza. Solo grazie a questo collegamento si poterono sviluppare negli anni seguenti i commerci e poi le industrie a partire dalla Famiglia Bonacossa

che investi molto anche

Piantina percorso Mortara - Milano

su questo. Questo “Tronco di linea ferroviaria” come descritto nel progetto, che si diramava dalla linea principale Alessandria- Arona, fu di epocale importanza per le relazioni future del Regno Sardo-Piemontese con il Lombardo-Veneto, così come era stato sancito dalle “Lettere Patenti” del 1844.

La stazione ferroviaria di Vigevano

Si dovette attendere l’Unità d’Italia, quando uno dei primi impegni assunti dalla Giunta Comunale di Milano, presieduta dall’ora Sindaco Beretta, si prefiggeva di congiungere il Capoluogo Lombardo a Vigevano. L’iniziativa si concretizzò con la Legge 17 Luglio 1861, tramite la quale Vittorio Emanuele II Re d’Italia concedeva all’ingegner Eugenio Ferrante di Torino, artefice della Mortara-Vigevano, di costruire a sue spese, rischio e pericolo o per tramite di apposita Società, una “Strada ferrata da Vigevano-Milano” con stazione in Porta Vercellina, in base ad un progetto-base che prevedeva fra le due Città le sole fermate di Morimondo e Vigano con un'unica stazione a Corsico. Inoltre il Concessionario (Ing. Ferrante) si assumeva l’esercizio della già operante tratta Mortara-Vigevano che lo Stato provvedeva ad affidargli alle medesime condizioni. Poco tempo prima che venisse approvata questo progetto di Legge, era stata proposta un’iniziativa riguardante il Comune di Abbiategrasso allora Capoluogo di Circoscrizione che vedendosi escluso dalla tratta ed informato dal suo Deputato Cesare Correnti delle possibilità per poter intervenire per modificare il tracciato, aveva presentato assieme ai Comuni di Gaggiano e Trezzano una petizione urgente per bloccare la Concessione Governativa, in seguito con il tramite di una Concessione per questo scopo istituita erano riusciti a convincere l’Amministrazione Provinciale dell’utilità di includere nella linea ferroviaria Abbiategrasso e Gaggiano. L’ing. Ferrante allora si rivolse direttamente al Sindaco di Abbiategrasso per proporgli invano alcune flebili alternative, con l’unica conseguenza di bloccare la trattativa per il rifacimento del tracciato che si prorogò dall’Agosto del 1861 agli inizi del 1863, periodo durante il quale l’ing. Ferrante venne a mancare e si dovette decidere a chi affidare l’incarico. Fu allora che il Comune di Vigevano si accollò l’iniziativa di riunire in Milano a Palazzo Marino tutti i Comuni in questione e finalmente Abbiategrasso forte degli appoggi dei Comuni di Vigevano, Gaggiano, Trezzano, Albairate e Cassinetta di Lugagnano con l’approvazione dell’amministrazione Provinciale, riuscì a volgere a proprio favore l’esito della riunione. Venne nominata una Commissione che oltre a conferire agli eredi dell’Ing. Ferrante per la modifica del tracciato, doveva istituire una Società Anonima e lanciare la sottoscrizione di 14000 azioni da 500 Lire l’una per il reperimento del capitale occorrente per la realizzazione dell’opera. Per conto, il Comune di Abbiategrasso oltre alle 200 azioni di cui doveva deliberare l’acquisto si sarebbe accollato ad acquistarne oltre 100 se ciò avesse dato l’opportunità di essere sede di Stazione. Nel mentre furono nulle le due “Istanze” presentate alla Prefettura di Milano dal gruppo dei Comuni rimasto escluso dalla variante di Abbiategrasso, di cui una ben dettagliata, il cui obbiettivo era di ottenere il ripristino del tracciato originale.

Il 10 Febbraio 1864 si tenne nelle Sale del Comune di Milano l’assemblea generale degli azionisti, per costituire ufficialmente la “Società della Strada Ferrata da Vigevano a Milano per Abbiategrasso con Stazione a Porta Ticinese”. Il tutto con il tacito accordo del Governo espresso per il tramite del Commissario Regio Mercalli, che aveva comunicato l’avvenuta approvazione della

La Ferrovia Milano - Vigevano

variante d’Abbiategrasso e la costruzione della Stazione a Porta Ticinese. Questa conclusione grazie anche all’intervento di tutti i privati coinvolti nell’impresa che si erano rifiutati di sottoscrivere le azioni se la nuova stazione non venisse ubicata fuori dalla cinta daziaria di Porta Ticinese, com’era, per ovvi motivi, nel loro interesse. Al Comune di Milano non rimase che accettare e dare disposizioni per il luogo della costruzione della medesima e per individuare un’area poco distante abbastanza

estesa per consentire la manovra e lo smistamento dei carri merce che fu denominata scalo di S. Cristoforo. L’appalto per la costruzione fu denominato “Società Eredi Ingegner Ferrante” che al prezzo di 6.700.000 Lire si impegnava, ad armare la linea, a costruire il ponte sul fiume Ticino destinato anche all’uso carrozzabile con incarico per il progetto all’Ing. Galeazzo Garavaglia, a fornire una linea telegrafica con tutto il macchinario occorrente per l’esercizio ed infine a costruire la Stazione di Porta Ticinese con annesso magazzeno merci. Cifra definita equa, anche perché pagata per metà in contanti e metà in azioni della Società Anonima, la quale era subentrata nei diritti di concessione agli eredi Ferrante. La gestione dell’esercizio era definita dagli azionisti: Renato Borromeo, Alessandro Cagnoni, Enrico Strigelli e Luigi Ferrari Trecate, delegati a rappresentare la Società anonima che a Roma il 30 giugno 1864, stipulò con il Ministero dei Lavori Pubblici una convenzione definitiva per la manutenzione ordinaria e l’esclusivo esercizio della intera tratta Milano-Mortara che sarebbe stato svolto dallo Stato sempre dietro corresponsione del 50% dell’introito lordo. La ratifica della Convenzione da parte del Governo non fu rapida, anzi i tempi si dilatarono fino dopo l’approvazione della Legge sul “Riordino delle Ferrovie” del 1865 che includeva il rinnovo di entrambe le Concessioni, con l’affidamento dell’esercizio delle Strade Ferrate dell’Alta Italia, i lavori ebbero inizio. Purtroppo a causa delle inadempienze dei privati sottoscrittori, nonostante le agevolazioni nell’acquisto delle azioni non avevano rispettati i tempi delle scadenze accumulando ritardi. Per questo i lavori subirono battute d’arresto. Si dovette attendere fino al 16 Gennaio 1870, giorno in cui venne inaugurata la linea ferroviaria di Km. 29,7 di proprietà della “S.A. della strada ferrata da Milano a Vigevano”. Il giorno seguente la linea era aperta all’esercizio e con essa il raccordo di Km. 5,5 che metteva in comunicazione Porta Ticinese con la Stazione Centrale realizzato ad opera della stessa Società. Durante il percorso dell’inaugurazione il treno sostò sul ponte stradale e ferroviario sul Ticino per dar modo agli invitati di scendere e poter ammirare l’avveniristica costruzione ideata dall’Ing. Galeazzo Garavaglia che da sola era costata due milioni di Lire (Di cui 6.000.000 di contributo Governativo) e parecchi anni di lavoro per tutte le avversità incontrate. All’arrivo alla Stazione di Vigevano l’entusiasmo della gente fu incontenibile, dopo un discorso di benvenuto pronunciato dal Conte Torre seguì una visita alla città Ducale ed un banchetto offerto dalla Società Anonima Concessionaria, durante il quale il Ministro dei Lavori Pubblici Gadda, volle sottolineare con un suo discorso, l’importa di riuscire a realizzare in futuro altre ferrovie come questa senza alcun contributo da parte del Governo. Pur essendo una linea succursale della “Milano- Genova” la “Vigentina”, come la chiamavano allora i ferrovieri rimaneva una linea secondaria a binario unico per il prevalente spostamento dei locali viaggiatori e la movimentazioni delle merci dal Monferrato e dalla Lomellina verso la stazione di Porta Ticinese, la quale nel 1873 prese il nome di Porta Genova per via dell’apertura lungo le mura spagnole, della nuova omonima Porta cittadina. Porta Ticinese ora Porta Genova divenne ben presto il fulcro di nuove industrie che sorsero negli anni a seguire. Da Porta Ticinese (Genova) la linea proveniente da Vigevano, proseguiva costeggiando il lembo occidentale della Città, per congiungersi a due km dalla Stazione Centrale, nei pressi del Cimitero Monumentale, con la linea ferroviaria proveniente da Torino. Con l’apertura della Galleria del San Gottardo nel 1882, il traffico ferroviario delle merci a Grande Velocità, in transito lungo la linea di cintura, aveva assunto proporzioni considerevoli e gli introiti della Società Anonima della Milano-Vigevano andavano sempre più crescendo. In uno degli ultimi bilanci di questa Società prima di divenire statale, datato 31 Dicembre 1900, si riscontrava un utile netto in crescita di 495.366,99 ottenuto da una compartecipazione agli utili della Mortara-Vigevano, dalla gestione stessa della Milano-Vigevano e dai diritti di transito lungo tutta la linea di cintura, con dividendo per gli azionisti in previsione della prossima apertura al pubblico di Porta Sempione.

Senza dubbio la nuova linea ferroviaria e il ponte sul Ticino portarono benefici anche per la lavorazione e il commercio della seta.

Nella ricostruzione giornalistica degli eventi, si riporta che:

Nelle due pubblicazioni sul “Gazzettino Padano” l’ultima datata 31 marzo 1852, nel dare l’annuncio dei prossimi lavori per l’ampliamento della stazione ferroviaria di Vigevano, assicurava il termine dei lavori nel 1870. Tale errata comunicazione viene a sua volta smentita dai verbali delle sedute del Consiglio Comunale di Vigevano, dove in quella del 25 agosto 1852, si legge: ”Ritenuto che con la sua deliberazione di ieri l’altro avrebbe provvisto mediante la contrazione di un mutuo di L.400 mila col modo onde da dar passo all’impegno assuntosi coll’ascrizione del Comune nella fondata società ferroviaria da Mortara a Vigevano per mille cento azioni senza aver raccorso al mezzo da alcuno suggerito da alienare fin d’ora le azioni stesse. Considerando che l’impresa della ferrovia da zelanti cittadini promossa e dal Governo del Re con particolare pressura favoreggiata è di tale vitalità del paese che il Consiglio debba cercare ogni onde facilitare anziché tardare esecuzione” Nella seduta del 16 settembre 1852 il Consiglio Comunale discute” Onde provvedere al modo con che dar passo all’impegno assuntosi coll’ascrizione della città per mille cento azioni nella spesa della ferrovia Mortara-Vigevano” Due anni dopo, 16 ottobre 1854, il Consiglio discute sulla possibilità di accordarsi con le autorità austriache per il prolungamento della ferrovia fino a Milano. “Il Sindaco soggiunse costare in fatti che varie società abbiano avanzata domanda al governo Austriaco per avere la concessione di una ferrovia da Milano al confine Ticino per congiungersi a quello di questo Stato.” Da ciò si ricava che nel 1852, “mercè da zelanti cittadini promossa”, l’erezione della ferrovia era già in attuazione, così anche alla stazione e che sin dal 1854 si facevano approcci per il suo prolungamento a Milano. A Vigevano, essendo capolinea, le locomotive venivano nella tettoia officina, tutt’ora esistente vicino alla via Maccherona, dove, per mezzo di una apposita piattaforma, venivano giurate per far ritorno a Mortara. Fu nel 1870 che mediante l’erezione dell’attuale ponte sul Ticino fu possibile completare il tronco ferroviario Alessandria-Milano. Per tale occasione il Comune di Vigevano fece coniare alcune medaglie augurali, sulle quali, oltre lo stemma civico, si legge la seguente dedica alla consorella Milano:

Alma Milano

per antico affetto sorella - distrutta la barriera politica- eretto il ponte sul Ticino - colla ferrovia vinta la distanza-vigevano esultante-oggi te saluta.

16 gennaio 1870.

L’informatore Vigevanese dell’Aprile 1952

Il "rendering" del nuovo ponte stradale in costruzione, parallelo al vecchio ponte che rimarrà solo ferroviario

Giuseppe e Primo Bonacossa: La nascita del Cascami seta.

I

l 25 Gennaio 1872 a Milano nasce “La Società Filatura Cascami Seta”, presidente il Conte e Deputato Giuseppe Bonacossa con il nipote Primo, figlio del fratello Luigi. Tutti i bozzoli, per qualche motivo imperfetti, sforati, macchiati, che rappresentavano uno scarto di lavorazione della seta tratta (ovvero a filo continuo), che rappresentavano solo un costo che andava fortemente ad incidere sul prezzo della seta considerata più pregiata, venivano ora utilizzati, usando un simile metodo di lavorazione, per ottenere

Certificato azionario Società Cascami Seta

seta comunque purissima anche se costituita da fili uniti con impercettibili imperfezioni e per questo considerate di seconda scelta. Venivano denominati CASCAMI ovvero scarti di lavorazione, di cui avevo accennato prima. La seta ottenuta dai cascami veniva impiegata nella tessitura delle confezioni, rendendo i prezzi più competitivi ed accessibili ai più. Nella tessitura costituivano il “ripieno” che veniva intessuto con “l’ordito” che fungeva da armatura, ed era di seta a filo tratto, quindi di prima scelta.

Una curiosità Nel confezionamento delle cravatte di seta, il ripieno (ottenuto dai cascami della seta) intessuto con a seta di prima scelta, permetteva con le sue impercettibili imperfezioni di fare da frizione per il nodo alla cravatta, che altrimenti si sarebbe sciolto facilmente.

La lavorazione dei cascami di seta era identica alla precedente con i bozzoli integri, l’unica differenza consisteva nell’abilità della maestra di seta adibita alla trattura (“Cavar la seta dai bozzoli”) di

congiungere velocemente il filo interrotto (nei cascami è discontinuo) a quello sull’aspo che lo avvolge, grazie alla sericina, sostanza collosa che lo riveste, sciolta nell’acqua della bacinella di trattura, ma sempre presente. Giuseppe Bonacossa insignito del titolo di Conte per i suoi meriti imprenditoriali, come il fratello Cesare Bonacossa, fu deputato al Parlamento dal 1897 al 1903. I Bonacossa in Vigevano avevano dei terreni di loro proprietà e due cascine: “Cascina Aguzzafame e Cascina Nuova”) l’ultima ancora esistente come era in origine, nella periferia di Vigevano. Nell’ immagine vediamo ciò che rimane della vecchia cascina Aguzzame dopo la vendita e la ristrutturazione in seguito all’esproprio del terreno circostante per la realizzazione della circonvallazione esterna di Vigevano, attuale Viale Industria. Nel particolare del vecchio

Cascina Aguzzafame: cabina di trasformazione

edificio si evidenzia la cabina di trasformazione nelle quale era posto il trasformatore, con i tre attacchi originali in ceramica da cui partivano i fili della energia elettrica che arrivava fino al Cascamificio per azionare le macchine per la lavorazione dei cascami di seta. Molti non sanno che questa piccola costruzione è carica di storia e l’attuale unica testimonianza di un incredibile lavoro di ingegneria e di intuito imprenditoriale di cui la Famiglia dei Conti Bonacossa è stata l’artefice e la

Stabilimento di Vigevano Giuseppe Bonacossa con suo nipote Primo in qualità di Presidente, riunì il Consiglio d’amministrazione (C.D.A.) della nuova Società per la Filatura dei Cascami di Seta per convincere gli azionisti ad investire in uno stabilimento (Cascamificio) in Vigevano, che sarebbe sorto sulle loro proprietà, tenendo conto delle nuove leggi che regolano l’ubicazione delle fabbriche per la lavorazione della seta, che per motivi igienici, dovuti agli scarti maleodoranti di lavorazione, vennero decentrate dalla città. Ricordiamo a tal caso le due Ordinanze del Protomedico Abramo Ardizzi del Tribunale della Sanità fin dal 1574 … maggior contribuente. Non dimentichiamo che tutte e due cascine e i terreni circostanti erano loro proprietà, di cui l’ultima fu venduta poco prima del progetto dell’attuale circonvallazione.

Per questo tipo di lavorazione devono sussistere due elementi fondamentali: l’acqua per la macerazione e l’elettricità per la forza motrice per azionare le macchine a vapore. Nella zona in cui proposero di far sorgere il Cascamificio mancavano entrambe. Si vedeva l’urgente necessità di trovare una soluzione. Con questo presupposto ed un progetto avveniristico il Conte ed Ing. Giuseppe Bonacossa convinse il C.D.A. della “Società della

Filatura Cascami Seta”. Per avere energia elettrica furono costruite appositamente due centrali idroelettriche: La prima a Gravellona Lomellina in zona Crocetta vicina al Santuario di S.Anna e la seconda a Tornaco, sfruttando le acque del diramatore del canale Quintino Sella (7/08/1827-Regno di Sardegna---14/03/1884 Biella---scienziato, politico e alpinista Italiano), una derivazione del canale Cavour, costruito tra il 1870 e il 1874. Il canale Cavour fu inaugurato nel 1866 dopo l’inaugurazione nel 1854 della centrale idroelettrica del Meina sul Lago Maggiore, presente il Conte Camillo di Cavour a cui fu dedicato. Nel 1897 la corrente elettrica prodotta dalle due centraline di Gravellona Lomellina e di Tornaco veniva convogliata su di una linea elettrica di km. 14 che arrivava fino alla periferia di Vigevano ad un trasformatore posto in cascina Aguzzafame, di proprietà dei Bonacossa e da lì fino al Cascamificio per azionare le macchine a vapore per le fasi di lavorazione di bozzoli che avveniva per macerazione. Questa sottostazione di trasformazione era di fondamentale importanza.

La concessione gratuita per l’allaccio alla linea principale elettrica fu dato dai Bonacossa al primo Calzaturificio di Vigevano Giulini, (Alcuni testi citano anche Bocca, per correttezza cito entrambi) in ogni caso rappresenta un passaggio dal comparto tessile al calzaturiero, seppur virtuale, ma molto significativo per il futuro di Vigevano. Una pietra miliare per un nuovo sviluppo economico.

Calzaturificio Giulini (ora sede del Giornale L’Informatore)

L’altro elemento fondamentale per la lavorazione è l’acqua. La zona ne era sprovvista eccetto qualche insignificante canale d’irrigazione. Quindi progettarono una pompa idraulica posta alla fine della discesa di Via S. Giovanni esattamente sulla riva del fiume Ticino. Detta pompa aspirava l’acqua direttamente dal fiume e la convogliava in un “canalino” cementato, costruito appositamente per l’uso con una pendenza, che passando da Via Gorizia defluiva per caduta in grande serbatoio detto “vascone” di 50 mq2 all’interno del Cascamificio. Per raggiungere il fondo della grande cisterna si

dovevano percorrere 28 gradini che portavano a tre pompe idrauliche che spingevano verso l’alto l’acqua e che venivano oliate tre volte al giorno da un addetto a questa operazione. L’edificio venne costruito su progetto dell’Architetto di fiducia della Fam. Bonacossa Diego Brioschi, della Fabbrica del Duomo di Milano sui sedimi della Fam. Bonacossa . Il modello era sempre di un edificio ad uso industriale, essenziale e funzionale nello stesso tempo.

Vi lavoravano 1.000 operai a ciclo continuo, in prevalenza donne. All’interno un padiglione dell’edificio era destinato a convitto per trecento ragazze nubili, provenienti da paesi o luoghi limitrofi che non potevano far ritorno alle loro case a sera dopo il lavoro e ritornare la mattina seguente ed era gestito da suore Pianzoline. Le operaie che ne usufruivano, a titolo gratuito, solo il fine settimana

raggiugevano le loro famiglie per ritornare la

Planimetria dello Stabilimento

domenica sera. Negli anni seguenti si vide l’urgenza di adibire un locale all’interno dello stabilimento per il culto dei dipendenti. Successivamente la Famiglia Bonacossa donò un terreno adiacente per la costruzione di una chiesa che venne dedicata a S.Giuseppe. All’interno della chiesa l’altare in marmo bianco fu donato dai nipoti del capostipite della famiglia, Vincenzo Bonacossa e figli di Cesare Bonacossa suo ultimo figlio, Marcella, Alberto, ed Aldo nati tutti a Vigevano. Fu donato anche il mosaico dell’apside. La chiesa

Chiesa di S. Giuseppe

I Principi Savoia parrocchiale di S.Giuseppe esiste tutt’ora ed per i vigevanesi è semplicemente “la chiesa del Cascame”. La Principessa Maria Josè in primis, poi anche con il marito il Principe Umberto di Savoia fece visita al Cascamificio e alla Chiesetta annessa. Attorno allo stabilimento vennero costruite delle villette provviste di terreno annesso, sullo stile inglese per i dipendenti e le loro famiglie che vennero, negli anni a venire, riscattate dai dipendenti. L’acqua e la luce elettrica veniva a loro fornita ad un costo simbolico, come la mensa interna. Negli anni a venire sorse un vero quartiere con abitazioni, negozi, edicole, ecc. che da allora prese il nome di “Cascame”. Una curiosità. Successivamente venne chiamato un rabdomante che setacciò l’interno del Cascamificio e vi trovò una falda acquifera che venne sfruttata sempre per il funzionamento delle macchine a vapore. La principessa Maria Josè

Nel 1927 aprì a Pavia La SNIA VISCOSA una ditta tessile che impiegava filati artificiali, simili alla seta che volevano eguagliare, ma non di pregio. La nuova azienda puntava sulla competitività mettendo sul mercato tessuti

Snia Viscosa

apparentemente con simili caratteristiche di lucentezza e morbidezza, a prezzi molto più accessibili. In seguito La SNIA VISCOSA entrò con una quota di partecipazione nel Consiglio d’amministrazione della Cascami-Seta che produsse oltre ai filati di seta pura anche dei filati misti, più commercializzabili sul mercato divenuto più difficile nel tempo. La Cascami-Seta di Vigevano chiuse definitivamente negli anni 1970/’80 quando il complesso industriale venne venduto alla Famiglia Botto di Biella, che rilevò i dirigenti e le maestranze che vennero occupate altri stabilimenti per le loro competenze lavorative e i macchinari che in arte vennero venduti a ditte asiatiche dove la industrializzazione era ancora arretrata. Per parecchi anni le filande sia a Dorno che a Vigevano lavorarono in concomitanza con il Cascamificio. A Vigevano nel 1939 delle numerose imprese ottocentesche (ne rimanevano otto con le minori) era rimasta la filanda Bonacossa in via d’estinzione, per la trattura e filatura, a tradizione di una gloriosa produzione. L’apparizione della seta artificiale con la nascita del settore chimico-tessile, con la SNIA-VISCOSA di Pavia (1927), il mercato entra in profonda crisi anche a causa del periodo autarchico che danneggiò il comparto tessile. Stava chiudendosi un’epoca storica che lasciava il passo al comparto calzaturiero che avrà negli anni a venire un’enorme sviluppo. Il vecchio passaggio di consegne si stava realizzando. Curiosità Dai ricordi delle “sedarole”, nonostante il duro lavoro quotidiano, lo “stabilimento” come veniva comunemente chiamato, era dotato di docce ed acqua calda. Era un bene prezioso ai temi e i lavoranti avevano la possibilità di usufruirne. Le “sedarole” per rendere meno gravoso il lavoro intonavano canti popolari che hanno attraversato il tempo arrivando fino a noi. Furono le “sedarole” e i lavoranti di Jesi a chiedere per prime la riduzione delle ore di lavoro che ai tempi erano di dieci/ undici ore giornaliere, non essendoci leggi a regolamentarle. Gli altri stabilimenti I Bonacossa aprirono altri Cascami-seta nella nostra penisola. Il secondo per importanza fu quello di Jesi nella Marche in provincia di Ancona. Fondato dal Banco Commerciale e Industriale di Bologna nel 1873 iniziò l’attività nel 1875. L’ing. Deputato Giuseppe Bonacossa con i nipoti Primo e Secondo lo acquistarono nel 1884. Chi si interessò in particolare di quello che per gli Jesini era semplicemente “Lo stabilimento” fu Secondo Bonacossa che potenziò gli impianti con l’uso di macchinari a vapore di ultima generazione, organizzò il lavoro e diede slancio ad una più larga produzione a ciclo continuo, come nella filanda modello di Vigevano (PV). La Fam. Bonacossa acquistò inoltre l’analogo stabilimento di Meina sul Lago Maggiore. In seguito si unirono nel 1888 quelli di Novara e di Zugliano (Vicenza), passando tutti alla “Società Anonima Filatura Cascami seta” con sede a Milano. Nel 1901 nel Cascami seta di Jesi lavoravano 102 uomini e 530 donne delle quali 32 sotto i quindici anni. Lavoravano a ciclo continuo a turni che superavano le otto ore, 24 ore su 24 per 300 giorni l’anno. Non c’era una regolamentazione sull’orario lavorativo. Nel 1901 il numero dei dipendenti era sceso a 360. I filati prodotti venivano in parte esportati sia nelle Indie Inglesi sia in Europa, ma la crisi mercato subita con l’introduzione delle fibre artificiali diede un contraccolpo tale da produrre gravi conseguenze. Il Cascamificio venne seriamente colpito e danneggiato nel 1944 durante il secondo conflitto mondiale dalle truppe tedesche in ritirata. Nel 1987 venne rilevato dal Gruppo Botto Giuseppe e figli che non riuscirono a mantenere competitiva la produzione arrivando alla definitiva

chiusura nel 2002, tenendo conto che il personale negli ultimi anni si era ridotto a 55 persone:(Quindici uomini e quaranta donne). Ricordiamo anche la vecchia filanda di Forlì sorta nel 1886 di proprietà di Giuseppe Brasini figlio di imprenditori forlinesi e direttore della Banca Popolare che occupava 103 operaie salite a 198 nel 1900. Nel 1896 passò di proprietà ad Aristide Panzeri che a sua volta la cedette ai F.lli Bonacossa. Rimase attiva fino al 1914, anno in cui venne chiusa definitivamente. Venne costruita una seconda filanda detta “la filanda nuova” nel 1898 da Giulio Panzeri per poi essere rilevata nel 1899 da Mario Tomiselli dal quale fu rilevata nel 1900 dai F.lli Bonacossa. La quantità di seta prodotta raggiungeva livelli di quantità e qualità molto superiori alla media. L’eccellente qualità della seta permise di essere esportata in Francia, Svizzera, Inghilterra e Stati Uniti. Tra le attrezzature impiegate per la lavorazione vanno menzionate le tre caldaie a vapore azionate a turno in modo da evitare interruzioni, un essiccatoio capace di lavorare in un giorno duecento quintali di bozzolo, un impianto di aereazione che assicurava un ambiente di lavoro abbastanza sano, due sale di controllo, nelle quali la seta prodotta era sottoposta a varie operazioni, quali la piegatura e l’imballaggio. Successivamente la seta veniva in matasse di varie dimensioni a seconda dei luoghi d’esportazione. Venivano spedite in Italia, Francia, Germania, Inghilterra, Svizzera, Stati Uniti. Infine venne nel 1926 acquistata da Napoleone Maiani industriale che possedeva anche una conceria e rimase attiva fino al 1929 anno in cui tutta l’economia mondiali subì una fortissima crisi che portò Maiani al fallimento e alla definitiva chiusura. Si contano tre cascami seta a Tarcento (UD), Boltiere (BG), Varsavia dove i cascami entravano come materia prima per la lavorazione ed uscivano come prodotto finito. Pur subendo un arresto la storia della seta come materiale tessile più pregiato in assoluto non finirà mai. Ancora ai nostri tempi rappresenta uno status di signorilità ed eleganza per quanto riguarda i tessuti, ma viene usata in medicina come filo per sutura adatto per le sue caratteristiche essendo sottile ma molto resistente (pari a 20 micron), anallergico, duttile. La seta è l’unica fibra tessile animale a filamento continuo. Un filo di seta tratta può raggiungere gli 800/900 metri e per romperlo ci vuole un filo d’acciaio tre volte più spesso, come dimostrano i test al dinamometro. E’ usato in medicina e definito “Il tessuto che cura”. La seta essendo perfettamente liscia non produce frizione e irritazioni cutanee. Ha costituito una novità interessante presentata al 86° Congresso di Ginecologia e Ostetricia a Milano, riguarda nello specifico le proprietà del tessuto a maglia di seta naturale-medicata; costituita da fibroina al 100% privata dalla sericina che potrebbe creare allergie e nobilitata con antimicrobico permanente non-migrante a base di ammonio quaternario, che si lega perfettamente alla seta e non viene rilasciata alla pelle costituisce un trattamento terapeutico formidabile. Protegge dalla contaminazione batterica e fungina. E’ un prodotto italiano, brevettato a livello internazionale, classificato come dispositivo medico di classe A. Ha dimostrato di essere di grande aiuto nelle medicazioni delle ustioni perché riduce le superinfezioni batteriche che rappresentano una pesante complicanza. E’ usata da decenni in chirurgia e può essere applicato anche su pelle irritata o ustionata. Il prodotto di seta medicata assorbe fino al 30% del suo peso rimanendo asciutto. Viene per questo usata per indumenti per persone obese e in ginecologia. La pelle risulta asciutta ed idratata grazie alla naturale riserva di umidità trattenuta dalle fibre. La seta viene impiegata in ingegneria e in fisica essendo molto resistente e rispetto all’acciaio sei volte più leggera. Per questi ed altri molteplici qualità, la seta, rimarrà sempre un insostituibile evergreen.

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