Dal saper come fare al saper cosa fare
Capitolo secondo
ne industriale imperanti all’estero e, implicitamente, di criticare approcci “ar tigianali”, la rivista riporta, quale sprone e monito, i successi conseguiti gra zie all’adozione di tecnologie e tecniche innovatrici. Le performance ed i re cord delle imprese americane finiscono così per rappresentare sia il traguardo possibile che l’indicazione esatta del ritardo da colmare in termini di produ zione e, soprattutto, di produttività. Stante la scarsa significatività del raffron to con l’Italia, termine di paragone diviene l’Inghilterra. Meccanizzazione e razionalizzazione fanno sì che “quantunque l’industria americana non impieghi che 197.000 operai, mentre l’inglese ne impiega 290 mila, tuttavia l’America produce calzature più di qualunque altra nazione. [..] Nel 1885 negli Stati Uniti 100 paia di scarpe fatte a mano richiedevano 2.225 ore di lavoro ed il prezzo medio di costo di fabbricazione era di l. 26 per paio. Nel 1895 la stessa quantità di scarpe veniva prodot ta in 296 ore ad un costo di l. 3,50 per paio. E’ quest’enorme riduzione del prezzo di costo che rese possibile e proficua l’esportazione delle calzature americane. Quindici anni fa l’esportazione totale delle calzature degli Stati Uniti non raggiungeva 1 Mn. di $ mentre ora invade i principali stati europei.” 30 Pur non assumendo le forme e le dimensioni auspicate dai sostenitori del modello di industrializzazione americano il comparto italiano della calza tura inizia a svilupparsi e, se si considera il quadro di arretratezza da cui par te, la crescita appare ancor più rilevante riuscendo a produrre, alla soglia del la prima guerra mondiale, 16,5 milioni di paia di calzature e, con ulteriore incremento di oltre il 30%, 22 milioni di paia nel 1924 (Tabelle 2 e 3) . Inoltre, sebbene le esportazioni continuino a rimanere marginali, la quota di consumo interno coperta dalle importazioni si riduce drasticamente (le calzature im portate passano da 1,3 milioni di paia nel 1913 a sole trecentomila paia nel 1924) riassorbita dall’offerta nazionale. Il quadro torna ad essere più problematico quando si raffrontino le prestazioni dell’industria nazionale con quelle degli altri paesi. L’immagine di un’industria posta di fronte ad una sfida impari è, nella sua crudezza, im mediata. Non solo le produzioni di Stati Uniti, Gran Bretagna e Germania sono superiori di un ordine di grandezza a quella nazionale, ma anche quelle di Francia, Spagna e Cecoslovacchia (del gigante Bat’a) sono doppie quando non triple rispetto a quanto fabbricato in Italia.
50
Made with FlippingBook - Online catalogs