Dal saper come fare al saper cosa fare
Capitolo quinto
do la produzione tedesca. I dati sulle importazioni dalla Germania mostrano un andamento altalenante il cui valore massimo cade all’inizio degli anni ’60. Nello specifico nel 1951 sono importati macchine ed apparecchi pari a 180 tonnellate –che equivale al 73% di quanto complessivamente importato dal comparto–, nel 1961 le tonnellate sono 433 –cioè il 78% del dato complessivo– e del 1971 sono 337 –pari al 61%–. Di converso le esportazioni nazionali verso la Germania mostrano un trend crescente costante: nel 1951 le tonnellate espor tate sono solo 21, ma nel 1961 sono già 105 e divengono ben 264 nel 1971. La reputazione che la produzione italiana va costruendosi, soprattut to all’inizio degli anni ’50, è più il portato delle importazioni dall’estero che non il risultato di un’azione attiva e pianificata. Le dimensioni delle officine italiane mal si prestano a sostenere il processo di internazionalizzazione; non sorprende quindi rilevare il ruolo svolto dai rivenditori esteri oltre che da quelli nazionali. Le stesse iniziative che, in questa fase storica, caratterizzano l’operato internazionale di alcuni imprenditori meccano-calzaturieri possono essere assimilate all’azione dei distributori nei termini in cui a fianco delle proprie macchine essi offrono sui mercati esteri anche quelle –complementa ri– prodotte da altre imprese. Lo sviluppo di un’officina e l’affermazione di un distributore estero sono processi che non raramente risultano strettamente interconnessi. L’esempio degli accordi della Sigma di Antonio Capuano con la francese Anver, come quelli di Torielli e di Tuttoscarpa con le argentine Schuster edArgirò, trovano emuli sia fra le altre officine sia fra i rivenditori di altri paesi pronti a cogliere l’opportunità offerta dalla tecnologia italiana. Gli accordi si moltiplicano con la comparsa di nuove officine e con lo sviluppo nei diversi mercati di rivenditori locali. Così, in Francia Anver affianca alle mac chine della Sigma quelle di Cerim, Comelz e Sagitta, e la Torielli si appoggia alla Johnson et ses Fils. Pochi anni dopo, all’apertura dei confini spagnoli, due rivenditori locali, Barcelò e Navarro Darò, contribuiscono significativamente all’affermazione internazionale della tecnologia italiana diffondendo nell’in dustria calzaturiera iberica le macchine di Cerim,Atom, Sagitta, Molina e Bian chi e di altre officine nazionali. Gli anni ’60 iniziano con un fortissimo incremento del commercio este ro di macchine per calzature. Il 1961 registra oltre 2mila tonnellate di esporta zioni che equivalgono a triplicare il dato annuo medio del precedente decen nio. La Francia continua a rappresentare il principale paese importatore di
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