Dal saper come fare al saper cosa fare

Capitolo terzo

cità, sostenendo che “[ d ] ette costruzioni hanno raggiunto tale grado di perfezione da competere colle migliori dell’industria tedesca, americana od inglese.” 19 Un’indi cazione indiretta dello squilibrio che, anche durante il periodo autarchico, segna l’offerta delle macchine italiane rispetto a quelle estere è rintracciabile nei dati sul commercio con l’estero delle “Macchine per concerie e per la la vorazione delle pelli”, voce che include anche quelle destinate ai calzaturifi ci. Nel 1938 le macchine importate ammontavano a 251 tonnellate mentre quelle esportate erano pari a sole 33 tonnellate. Sul versante della qualità, la valutazione del grado di sviluppo della tecnologia meccano calzaturiera italiana risulta ambigua. I pochi riferimenti presenti in giornali e riviste sul livello tecnologico raggiunto dai produttori italiani offrono un panorama contraddittorio, soprattutto se all’accumulo di esperienze viene meccanicisticamente associata la capacità di annullare i ri tardi tecnologici ed industriali di partenza. In tal senso, negli anni ’20 la pos sibilità di riprodurre in breve tempo la tecnologia dei paesi storicamente al l’avanguardia viene affermata attraverso la convinzione “che non vi sia alcun italiano capace di negare i mirabili ed inauditi sforzi che, da anni, va compiendo l’industria meccanica –in ogni ramo, e segnatamente in quello della costruzione di macchine per calzaturifici e industrie affini– per emancipare l’Italia dal vassallaggio estero, sforzi che sono coronati da crescente consenso e successo, tanto che oggi siamo in grado di costruire l’intera complicata serie di macchine per calzaturifici, ad ecce zione di pochissimi tipi, che sono peraltro allo studio e non tarderanno ad essere fabbricati.” 20 Di diverso avviso è la visione di chi alla fine degli anni ’30 si interroga su “[c]hi non si attrezza oggi a produrre con i sottilissimi ganci non a contatto del piede anziché col vecchio sistema dei chiodi? Chi cuce oggi una scarpa elegante con la grossolana catenella anziché coi due fili sprofondati nel loro spessore nel cuoio? Chi farebbe oggi una serie di modelli per tomaia, o fondo, a mano anziché a macchina? [e ne deduce che] macchine moderne voglionsi per allinearsi al pro gresso attuale, e queste macchine, in fiduciosa attesa che il mercato nazionale le pro duca, occorre importarle. [..] Bisogna attrezzarsi per tali lavorazioni [goodyear e little way] e invocare dalle competenti Autorità una facilitazione per poter importare le macchine relative con la certezza che in un tempo più o meno vicino l’industria nazionale potrà essa stessa fabbricarle.” 21 Anche il ricorso ad altre fonti non risolve talune contraddizioni e non aiuta a definire un quadro più chiaro. Da un lato si ha la pubblicità di

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