ATOM _- Autobiografia di un'impresa metanazionale

Atom in Cina e la “regola aurea” Paolo C. Pissavino

A partire dalla seconda metà degli anni Novanta, la progressiva fagocitazio ne della produzione calzaturiera mondiale da parte di produttori dell’Estremo Oriente, con la Cina in prima posizione presto seguita da altri paesi a forte sviluppo come India e Vietnam 1 , ha imposto al comparto meccano-calzaturiero italiano una sfida culturale e imprenditoriale di formidabile portata, giacché ve niva a modificare profondamente, e inmodo irreversibile, gli equilibri produttivi tra le diverse regioni del globo, mettendo in difficoltà le strutture calzaturiere dell’Europa occidentale. Tale quadro di riferimento, segnato da un forte impoverimento dei consueti mercati di sbocco, ha portato il nuovo vertice dirigenziale Atom alla scelta stra tegica, operata nel 2000, di “andare in Cina”, avviando, come già si è scritto, un percorso di localizzazione della produzione delle macchine per il taglio a fustella a tecnologia di base nel distretto di Shanghai. L’iniziativa, se senza dubbio si poneva in una linea di profonda discontinuità rispetto alla filosofia aziendale fino ad allora seguita, che aveva ormai racchiuso nel distretto di Vigevano tutte le linee produttive, per il vero si ispirava a strategie ben tradizionali per il comparto meccano-calzaturiero. Infatti, la localizzazione in Cina della produzione di base finiva per ubbidire alla “regola aurea” che aveva informato l’intera storia del settore, e cioè la consapevolezza che la sopravvivenza delle aziende meccaniche aveva come propria pre-condizione la prossimità con zone geografiche a forte, anzi fortissima componente produttiva calzaturiera. E questa “regola aurea” non poteva certo essere ignorata di fronte al fenomeno Cina, stante lo scenario a due velocità raffigurato dai nudi numeri che caratterizzavano il settore calzaturiero a livello mondiale: infatti già nei primi anni Duemila la Cina produceva oltre 10 miliardi di paia, laddove in Europa occidentale si superava solo il miliardo, quantitativo che, in meno di un decennio, sarebbe sceso a 500 milioni, a riscon tro di una significativa riduzione nel numero di aziende produttrici. Da questo nuovo asset planetario, tanto schematico quanto assai eloquente, non era certo difficile trarre la conclusione che le aziende italiane del comparto,

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