ATOM _- Autobiografia di un'impresa metanazionale

La prima questione ha a che fare con il venir meno dell’entusiasmo degli imprenditori ancora presenti negli anni Novanta e con le difficoltà del ricambio generazionale. Ho visto negli ultimi decenni molte imprese che hanno chiuso i battenti non per difficoltà di mercato né come conseguenza della perdita di competitività. Molte imprese calzaturiere, purtroppo, hanno semplicemente chiuso per l’assenza di continuatori nella famiglia. Questo fenomeno pone una questione di responsabilità sociale dell’impresa perché l’impresa deve soprav vivere al fondatore e all’imprenditore. È interesse della classe imprenditoriale e della comunità locale che vengano trovati manager o altri nuovi imprenditori capaci di gestire le aziende esistenti qualora nella famiglia non vi sia la possibilità di far fronte a tale impegno. La capacità organizzativa-imprenditoriale è una risorsa particolarmente scarsa, specie nelle aree poco sviluppate o in declino, mentre cresce enormemen te nei periodi di intenso sviluppo per effetti di trascinamento e di emulazione. Nel nostro paese il tasso di formazione di nuove imprese manifatturiere si è ridotto a poco più del 30% rispetto ai valori riscontrabili alla fine degli anni Ottanta. Questo è un segnale di grande difficoltà, specie per un paese che a lungo ha fatto dell’imprenditorialità e delle piccole imprese innovative il fulcro del proprio successo industriale. Il secondo fattore di freno è stato sicuramente lo spiazzamento del settore sia con riferimento al mercato del lavoro che alle opportunità imprenditoriali rispetto all’immagine di altri settori ritenuti innovativi, di presunte maggiori opportunità di carriera e di guadagni. La vicinanza dell’area metropolitana milanese, con la conseguente competitività di altri settori che pagavano sala ri e stipendi più alti, ha rappresentato certamente un fattore determinante di “spiazzamento” delle imprese sul mercato del lavoro, producendo un clima di generale disaffezione che ha colpito il sistema calzaturiero vigevanese e che, nel lungo periodo, offre un spiegazione del relativo declino. Credo che questi due fattori siano importanti per comprendere le difficoltà del sistema calzaturiero vigevanese, che ripeto mi sembrano più da connettere con il venir meno dell’entusiasmo e della fiducia nelle proprie competenze e capacità (e nella conseguente caduta degli investimenti) piuttosto che con questioni di competitività. La persistenza della produzione calzaturiera in altre aree relativamente ricche del nostro paese (da Strà alla Toscana alle Marche) dimostra che la riorganizzazione produttiva, gli investimenti, l’introduzione di nuove competenze professionali nel settore possono consentire competitività e adeguata posizione sul mercato internazionale. “Vivacchiare” piuttosto che assumere scelte coerenti alle tendenze in atto nel mercato è solo l’anticamera di una perdita progressiva della dinamica pro duttiva e imprenditoriale.

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