ATOM _- Autobiografia di un'impresa metanazionale

Questa pubblicazione è stata riprodotta in @_book nel 2021 dal R.C. Vigevano Mortara per il Museo dell’imprenditoria Vigevanese con il consenso della dirigenza di ATOM Spa

Nel corso dei quasi sessant’anni di attività Atom, leader mondiale nella produzione di sistemi di taglio ha sempre saputo rispondere, con attenzione e con dedizione, alle richieste che i cambiamenti del mercato, oggi incalzanti nella sua evoluzione tecnologica e nella sua geografia, hanno imposto. E questo risultato è stato accompagnato anche dal rinnovamento generazionale nella governance dell’impresa che comunque non ha voluto deflettere dal rispetto dei principi che avevano sin dall’inizio ispirato la vita dell’azienda. non costituiscono astratte polarità concettuali o categorie storiografiche volte solo ad analizzare pratiche o strategie aziendali, bensì sono state di volta in vota ribadite nella faticosa costruzione di una leadership e di una reputazione mondiale. E sono state intramate in un’esperienza che i soci fondatori hanno saputo trasmettere alla nuova generazione, e che questa ha messo a frutto facendo dell’innovazione e dell’internazionalizzazione le sfide del nuovo secolo. Paolo C. Pissavino è docente di Storia delle idee d’Europa presso l’università di Pavia, e ha insegnato Storia del pensiero politico presso le Università di Napoli “Federico II” e di Pavia, Coordina il Forum sulla internazionalizzazione della piccola e media impresa – Centro Studi Beonio-Brocchieri Sicché, nell’autobiografia di Atom, “continuità” e “discontinuità”

In copertina:

Rendering di una testa di taglio dei tavoli Flashcut Atom

forum sulla internazionalizzazione della piccola e media impresa Centro Studi Beonio-Brocchieri 3

Promotori Valeriano Balloni (Istao - Ancona); Silvio Beretta (Università di Pavia); Gianfranco Borrelli (Università di Napoli “Federico II”); Marco Clementi (Università di Pavia); Giovanni Gaia (Atom spa); Gioacchino Garofoli (Università dell’ Insubria); Gianluca Gregori (Università Politecnica delle Marche); Giuseppe Iannini (Università di Pavia); Antonio Majocchi (Università di Pavia); Silvana Malle (Università di Verona); Fabio Musso (Università di Urbino); Giorgio Petroni (Università della Repubblica di San Marino); Sergio Romano; Fabio Rugge (Università di Pavia); Ercole Sori (Università Politecnica delle Marche); Dario Velo (Università di Pavia); Antonella Zucchella (Università di Pavia) Coordinamento Paolo C. Pissavino (Università di Pavia - Centro Studi Beonio-Brocchieri)

Atom AUTOBIOGRAFIA DI UNA IMPRESA METANAZIONALE

a cura di Paolo C. Pissavino

introduzione di Giovanni Gaia

Rubbettino

2013 - Atom s.p.a. 27029 Vigevano - Via Morosini, 6 - tel +39 (0381) 3021 www.atom.it

© 2013 - Rubbettino Editore 88049 Soveria Mannelli - Viale Rosario Rubbettino, 10 - tel (0968) 6664201 www.rubbettino.it

Stefano Cantella Luciano Deambrosis In memoriam

Indice

Introduzione

giovanni gaia 13 Perché questo libro?

parte prima Autobiografia di un’impresa capitolo i I tre fondatori e la loro “impresa”

21 Un’autobiografia

Paolo C. Pissavino 31 I tre fondatori. Un ritratto greta m. baCCini 39 I tre fondatori: per un’analisi critica Paolo C. Pissavino

capitolo ii Principi di governance e identità metanazionale 47 La filosofia Atom Paolo C. Pissavino 55 Atom: globale come il suo standard,

intersettoriale come la sua tecnologia Carlo alberto Carnevale maffè

capitolo iii Nel cuore del mercato: dinamiche di sviluppo e sinergie 61 Atom: da Vigevano al Mondo Paolo C. Pissavino

83 Il prodotto, prima di tutto: l’evoluzione tecnologica riCCardo deambrosis 89 Atom e l’associazionismo amilCare baCCini capitolo iv Atom e la sua “rivoluzione copernicana”: passaggio generazionale e innovazione tecnologica 97 Il passaggio generazionale Carlo alberto Carnevale maffè 101 Protagonisti dell’innovazione sergio dulio 115 Il software , questo sconosciuto. Una testimonianza miChele Cantella

capitolo v Lo scenario e il suo contesto: distretto vigevanese e settore meccano-calzaturiero. Per una lettura critica

121 Il distretto industriale vigevanese gioaCChino garofoli 131 Il settore delle macchine per calzature gioaCChino garofoli

parte seconda Internazionalizzazione: Atom tra continuità e discontinuità

capitolo vi Le logiche dell’internazionalizzazione

147 I distretti industriali e i processi

di internazionalizzazione delle imprese italiane fabio musso 161 Il processo di internazionalizzazione di Atom: una storia italiana di successo, una sfida alle teorie esistenti antonella zuCChella capitolo vii Alla scoperta di nuovi mondi 175 Atom in Brasile, laboratorio di sperimentazione di prodotti e processi Carlo alberto Carnevale maffè, giaComo guarnera

187 Atom a scuola di Common Law : Inghilterra, Stati Uniti e Canada Carlo alberto Carnevale maffè 195 L’India di ieri e quella di oggi mario PuCCi

parte terza Atom e la Cina

capitolo viii L’avventura cinese: le ragioni e il contesto 205 Crisi mondiale e sviluppo economico in Cina. Mutamenti in corso silvana malle 219 La Cina delle riforme e il settore meccano-calzaturiero Patrizia galli

capitolo ix Atom in Cina: il presente e gli scenari futuri

231 Atom in Cina e la “regola aurea” Paolo C. Pissavino 237 Atom con gli occhi a mandorla

Carlo alberto Carnevale maffè

Conclusioni 259 Il futuro anteriore della responsabilità Carlo alberto Carnevale maffè

271 Gli autori

273 Protagonisti, luoghi e immagini di un’autobiografia

introduzione

Perché questo libro? giovanni gaia

Quando una storia viene raccontata non può essere dimenticata, diventa qualcos’altro, il ricordo di chi eravamo, la speranza di ciò che possiamo diventare. Ma se una storia non viene raccontata diventa qualcos’altro, una storia di menticata. Tatiana De Rosnay , La chiave di Sarah Quando due anni fa ho informato mio padre dell’idea di dar vita a un libro su Atom, le sue parole sono state di estremo scetticismo: “Se noi scriviamo un libro sulla ATOM, allora un Della Valle, un Del Vecchio, un Polegato, cosa dovrebbero fare? La nostra è una piccola storia, di poco interesse e di pochi meriti; quello che abbiamo fatto è il minimo che si potesse realizzare, semmai potrebbe essere solo una storia di occasioni perdute, di quello che non abbiamo fatto e che si sarebbe potuto fare”. Il suo proverbiale distacco al limite del provocatorio, il suo riportare le cose a una misura di basso profilo, il suo rifiuto a qualsiasi enfasi sui risultati ottenuti alzando sempre il benchmark sugli obiettivi da raggiungere si manifestavano ancora una volta. Le sue osservazioni mi hanno certamente fatto riflettere, ma non al punto di abbandonare il progetto. Senza dubbio Atomnon è una grande azienda, ma nel suo “piccolo” la storia di Atom è una storia di leadership , seppur nel contesto di un settore di nicchia se paragonato ad altri settori industriali. In effetti, fin dalle origini, Atom ha sempre mirato a ritagliarsi un ruolo da protagonista nei segmenti di prodotto e di mercato in cui ha operato. Già dai primissimi anni, affrancandosi rapidamente da un ruolo di mera officina conto-terzista e di ricambistica, ha di fatto saputo trovare un prodotto proprio, dapprima le vulcanizzatrici per poi arrivare, alla fine degli anni Ses santa, alle fustellatrici, il prodotto “simbolo” della produzione Atom, e di cui è riconosciuta indiscusso leader a livello internazionale. E anche gli investimenti

nei “nuovi” prodotti – le fustellatrici automatiche e i sistemi di taglio senza fustella, che hanno caratterizzato la storia degli ultimi vent’anni – sono sempre stati guidati da una ricerca dell’eccellenza tecnica e della massima copertura di mercato. Linee guide che stanno alla base anche del recente e importantissimo intervento nel campo delle macchine a iniezione per la produzione di compo nenti in materiale sintetico: un settore di grandi potenzialità, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, nel quale Atom ha deciso di entrare con la stessa logica che da sempre ha definito le sue scelte strategiche. È quindi evidente come il vissuto di Atom sia certamente singolare e carat terizzato da fattori distintivi, ma nello stesso tempo lo si possa analizzare anche come paradigmatico dell’esperienza di altre aziende medio-piccole italiane. Come emerge dalle pagine seguenti, la storia della Atom è infatti quella di un’azienda nata e sviluppatasi nello scenario di un tipico distretto indu striale italiano, e contemporaneamente è storia di un’azienda fortemente in ternazionalizzata. E questi due aspetti, il contesto del distretto e le dinamiche dell’internazionalizzazione, stanno alla base degli interventi, per così dire, “accademici” che sono parte integrante di questa narrazione, e che spero possano fornire il patrimonio informativo e di analisi necessario per meglio comprendere il percorso che l’azienda ha intrapreso in questi quasi settant’anni di attività. Di fatto la coesistenza nel libro tra interventi di stile e contenuto diversi è alla base dell’impostazione che abbiamo voluto dare, cercando di uscire sia dagli schemi di una banale agiografia che da quelli di una pura analisi economico aziendalista, articolando invece un mix di contributi che nelle intenzioni vor rebbero rappresentare il fattore distintivo di questa opera. Tornando alle peculiarità del percorso caratteristico dell’azienda Atom, non mancano d’altra parte aspetti di particolare interesse. È, infatti, storia di un’azienda senza dubbio familiare, ma che da subito ha saputo separare famiglie da impresa, facendo crescere una forza “manageriale”. È storia di un primo passaggio generazionale assolutamente non facile, ma che l’azienda ha saputo razionalizzare e gestire con successo. E, ancora, è storia di un percorso lato-prodotto e di un’evoluzione tecnolo gica importanti e complessi. E già tutto questo forse basterebbe a giustificare il motivo di raccontarla. Il fatto che Paolo Pissavino, al di là delle sue indubbie capacità persuasive, abbia potuto coinvolgere su questo progetto illustri accademici, aziendalisti e studiosi di settore (ai quali va il mio ringraziamento), è una conferma che probabilmente questa storia di qualche interesse lo sia. Il risultato di questo lavoro lo ritengo interessante e i lettori che ne avranno curiosità penso potranno fruirne ciascuno in maniera personale. Infatti le chiavi di lettura di questo libro possono essere diverse.

14

Si può leggerlo dal punto di vista dell’aziendalista, dello storico di settore, dell’economista, dell’addetto ai lavori; sicuramente c’è in qualche capitolo un certo spazio all’autocelebrazione, ma Paolo Pissavino ha fatto “buona guardia”. Inoltre il percorso di lettura non necessariamente deve essere quello cano nico dall’inizio verso la fine, in quanto ogni intervento gode di una propria au tonomia, permettendo una fruizione per certi versi random , tale da permettere a ciascuno di approfondire quanto sia di proprio interesse. Ma vorrei chiudere questa breve introduzione con il descrivere quella che secondo me è la risposta principale alla domanda di apertura, sul perché ci siamo impegnati a far nascere questo libro. Rileggendo infatti con attenzione il volume ci accorgiamo che la storia della Atom, al di là dei fatti e dei prodotti, è storia soprattutto di valori. Il valore della trasparenza, all’interno dell’azienda, l’uno verso gli altri, e verso il mondo esterno. Il valore dell’economicità, intesa come capacità dell’impresa di assicurare stabilmente l’autosufficienza economica e finanziaria dell’esercizio. Il valore dell’azienda come sistema, cioè il vedere la stessa come un insieme di risorse umane e di capitale, che in modo integrato concorrono al raggiungi mento dell’obiettivo strategico aziendale. Il valore dello sviluppo, inteso come sintesi dei valori di innovazione, ser vizio al cliente, valorizzazione delle risorse. Valori questi che sottostanno ai due principi che hanno guidato gli atteggia menti e i comportamenti di tutti coloro che hanno operato e operano nell’im presa: l’autonomia e la responsabilità. L’autonomia, da intendersi come libertà di decidere da parte di chi ha compiti direzionali sulle scelte da intraprendere nella logica di un’economia di mercato; valore che però deve sempre andare di pari passo con quello della responsabilità, intesa come obbligo di chi gestisce di rendere conto del proprio operato. Nel cassetto della mia scrivania conservo da molti anni un ritaglio che re cita: “ Chi esercita i poteri di governo economico si comporta dunque come un fiduciario che esercita i propri diritti-doveri sull’impresa come se si trattasse di cosa non propria che solo temporaneamente è affidata alle sue cure affichè la faccia prosperare e la consegni al proprio successore possibilmente in condizioni migliori di quando l’ha avuta in consegna” 1 . Ritengo che questo concetto ben sintetizzi il patrimonio di principi che tu, caro papà, e il signor Emilio e il signor Luciano, avete trasmesso, forse incon sapevolmente, con il vostro esempio e le vostre azioni, a noi, figli, collaboratori, stakeholders della azienda, valori che sono entrati nel dna di questa impresa e che rappresentano la vera forza della stessa.

Perché questo libro?

15

Era quindi giusto fare questo libro adesso, per dare un pieno riconoscimento al vostro merito, per far meglio riflettere noi, seconda generazione, sul vero asse portante di Atom, e, ancora, per dare un riferimento a quella terza generazione che ormai si sta affacciando e che sarà coinvolta nel prossimo cambio generazio nale dell’azienda. Un cambio che, probabilmente, non avrà le stesse dinamiche del primo, che ragionevolmente sarà coerente ai nuovi scenari socio-economici, un cambio che – è facile immaginare – porterà a costruire una realtà aziendale diversa, ma comunque una realtà che, ne sono sicuro, non derogherà da questo sistema di valori, base fondante della nostra Atom. I miei ringraziamenti a chi, oltre agli autori, ha contribuito alla realizzazione del volume: in particolar modo a Ermino Veneroni, Tiziano Mostura e Bruno Valli, per il contributo di memoria e ricostruzione storica, e a Luisa Gaia per il paziente lavoro di lettura e di suggerimenti. Il volume era già in avanzata fase di realizzazione quando è venuto a mancare Luciano Deambrosis: per lui, per rispetto della sua memoria non abbiamo voluto in nulla mutarne la narrazione, come fosse con il suo esempio ancora tra noi.

Note

1. G. Corbetta, Le imprese familiari. Caratteri originali, varietà e condizioni di sviluppo , Egea, Milano 1995.

16

parte prima autobiografia di un’imPresa

Capitolo i I tre fondatori e la loro “impresa”

Un’autobiografia Paolo C. Pissavino

1 Infinite Loop, Cupertino, California. Anche nella sede centrale di Apple Inc. c’è una trancia Atom. La sua funzione è segretissima, come ogni informazione relativa all’azienda fondata da Steve Jobs. Ma possiamo essere certi di una cosa: taglia, sempre. Per quanto lusinghiera, la presenza di una trancia Atom nella sede centrale di Apple finisce, in verità, per risolvere in una sorta di fotografia istantanea un’e sperienza ben sedimentata nelle traiettorie di sviluppo che il settore meccano calzaturiero ha conosciuto dal secondo dopoguerra a oggi 1 . Già nel 1958, la storia di Atom aveva trovato significativa testimonianza nell’elenco delle aziende italiane più importanti, perché più conosciute sul piano internazionale, redatto da Rudolf Weigl a conclusione della sua fondamentale storia dell’industria te desca del comparto, Technik und Maschinen in der Schuhindustrie 2 . Infatti, tra le ventidue imprese italiane regestate, e a soli dodici anni dalla sua fondazione (avvenuta a Vigevano nel 1946), vi figurava già Atom, brand che nei primi anni Settanta si sarebbe affermato quale leader mondiale nelle produzione di macchine per taglio 3 . Da allora l’azienda vigevanese ha sempre conservato tale posizione, costituendo in questa specializzazione una significativa eccezione a un trend che, nei distretti industriali, non vede alcuna impresa occupare per lungo tempo “una posizione stabile di monopolio all’interno di una singola fase” 4 . In verità, le notazioni di Technik und Maschinen in der Schuhindustrie qualificano per Atom una reputazione internazionale conquistata e mantenuta per oltre cinquant’anni, durante i quali le strategie dispiegate dall’impresa hanno saputo abbandonare con sempre maggior consapevolezza quell’atteggiamento tanto opportunistico, quanto diffuso e condiviso, che ha caratterizzato il settore meccano-calzaturiero italiano nei periodi congiunturalmente felici. Così alla “misura breve”, ovvero alla risposta, spesso affannata, fornita alle richieste di un mercato della calzatura in rapida e costante espansione sia a livello nazionale che internazionale 5 , è stata preferita la ricerca di una domanda di riferimento a cui rispondere in modo sistemico, sviluppando altresì tecnologie innovative

(sistemi water-jet e, successivamente, tavoli di taglio a lama oscillante), la cui duttilità operativa è in grado, grazie al complesso software di cui sono dotate, di seguire repentinamente le nuove esigenze e attagliarsi al nuovo stile dettato dall’evoluzione del mercato 6 . Di pari passo, le successive trasformazioni che ne hanno variamente di segnato gli assetti societari, hanno semmai rafforzato la filosofia di impresa plurifamiliare, quale è sempre stata Atom nel corso della sua attività. Non a caso, anche l’ingresso in azienda con ruoli apicali della seconda generazione, insomma “dei figli dei fondatori”, pur costituendo un apporto non indifferente di nuove competenze (utile appunto a distillare quella dialettica continuità/ discontinuità che la ricerca storica delinea a propria silhouette ), non ha com portato alcuno scarto dalla linea di autosufficienza economica e finanziaria a cui i fondatori si erano attenuti come a una sorta di dogma. Tale osservazione non intende certo concorrere a mettere in questione la rilevanza di una linea di ricerca quanto mai feconda nei risultati, semmai a renderla più adeguata a una realtà imprenditoriale in cui la nettezza di con trapposizioni anche generazionali si è smussata secondo le logiche di una path dependence che pure non ha mai rinunciato a far proprie strategie di crescita fondate sulla Ricerca & Sviluppo. Del resto, innovazioni tecnologiche importanti (quali il cad/cam), le dimensioni globalizzanti che caratterizzano sempre più l’internazionalizzazione d’impresa, le gravi crisi finanziarie che stanno segnando l’alba del terzo millennio inducono esse stesse coupures nelle pratiche aziendali, fratture profonde che vanno distintamente segnalate. Tuttavia, in questo quadro, in cui globalizzazione, internazionalizzazione e innovazione costituiscono l’a becedario compulsivamente recitato da esperti e opinionisti, Atom testimonia la vitalità e la versatilità di un’azienda che, per i traguardi a cui è giunta, è ben lontana da risultare anacronistica, come non poca critica vorrebbe qualificare, appunto, il modello “impresa famigliare”. Piuttosto, il caso Atom, e soprattutto la narrazione con cui lo si intende presentare, paiono suggerire altre cautele d’indagine che impongono di non trascurare in alcun modo la dimensione plurale di un’impresa, complessa tanto nella sua storia, per così dire, “istituzionale”, quanto nelle sue unità di pro duzione (in Italia e in Cina) non meno che nella articolazioni delle filiali di commercializzazione (Spagna, Germania, Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti, Brasile, India). Narrazione, vale sottolineare, che si presenta come una sorta di autobio grafia, non foss’altro perché nella cultura europea, e particolarmente in quella italiana, l’impresa famigliare è stata sempre identificata “biologicamente” con la figura dell’imprenditore 7 . Ma è su questa “memoria di se stesso”, su questa “autobiografia d’impresa” 8 che mette conto di soffermare l’attenzione, perché significative sono state le

22

testimonianze d’eccellenza che – come si è visto – Atom ha raccolto negli oltre sessant’anni di attività, e le pagine che seguono, semmai, sono rivolte a rac cogliere il precetto che Benvenuto Cellini aveva posto a incipit della sua Vita : Tutti gli uomini d’ogni sorte, che hanno fatto qualche cosa che sia virtuosa, o sì vera mente che la virtù somigli, doverieno, essendo veritieri e da bene, di lor propria mano descrivere la loro vita; ma non si doverebbe cominciare tale impresa prima che passato l’età de’ quarant’anni 9 . Autobiografia, dunque, più che storia di un’impresa famigliare, in cui i tra dizionali snodi problematici (famiglia o management , internazionalizzazione, passaggio generazionale, ecc.) sono messi alla prova e divengono racconto di un “io narrante” attento a declinare le strategie e i progetti che ne hanno guidato lo sviluppo. Però, per quanto l’autobiografia possa offrire ai propri lettori l’esempla rità di una esperienza di vita 10 , al tempo stesso e per suo stesso statuto non può e non deve essere monologo autoreferenziale o, peggio, autocelebrativo 11 . Per tale ragione, a illustrare le dinamiche anche storiche dell’attività di Atom, è stato organizzato un reticolo di approfondimenti, affidati ad accademici, specialisti in varie discipline, e a esperti del settore, con cui costituire il profilo esigente di uno scarto sia da ogni forma di gratuita autocelebrazione sia da una monocorde storia d’impresa, venendo a dar vita, piuttosto, a quella “civil conversazione” tra “artefici” e “letterati” a cui aveva già guardato con favore la cultura non solo italiana del tardo Rinascimento. D’altronde, lo statuto plurale dell’impresa – la proprietà e il management , da un punto di vista dell’organizzazione interna; innovazione, internazionalizzazione come vettori della performance dell’azien da – non meno di quello di un settore, come quello meccano-calzaturiero, che è contraddistinto da un peculiare rapporto triadico (imprenditore meccano calzaturiero, imprenditore calzaturiero e rivenditore che raffigura la “mano visibile” che opera quale specifico canale distributivo del settore) 12 , esige una visione articolata, irriducibile a una singola prospettiva d’analisi. E tale struttura del settore mette a fuoco, per il vero, un’altra condizione dello stile autobiografico, perché “la memoria” nelle autobiografie “ha un particolare carattere; è memoria della propria età contemporanea e di se stesso” 13 . Sicché, la realtà del distretto meccano-calzaturiero di Vigevano resta ineludibile sfondo e contesto di un’esperienza, quale quella delineata da Atom che, tuttavia, già nei primi anni Sessanta aveva fatto delle dinamiche dell’internazionalizzazione uno dei propri punti di forza. E se la Vigevano di quegli anni ritrova nella peculiare sensibilità di uno scrittore quale Lucio Mastronardi una lettura agra e paradossale 14 , se i giudizi che Giorgio Bocca aveva redatto del “precapitalismo confusionario e dilettan tesco dei magliari di Carpi o dei calzaturieri di Vigevano” 15 dipingevano la

un’autobiografia

23

fisionomia di una città di provincia laboriosa ma per nulla dedita alla cultura 16 , vale ricordare che molta parte degli imprenditori meccano-calzaturieri vige vanesi a partire dal secondo dopoguerra erano dotati di buone conoscenze tecnico-meccaniche, apprese presso il locale Istituto Roncalli d’Arti e Mestieri e l’ Istituto Negrone, istituzioni educative che costituirono davvero la ragione prima di quella marshalliana “abilità nell’aria” 17 che contraddistinse il distretto soprattutto negli anni Sessanta 18 . Di più, tali conoscenze costituirono la condizione perché non pochi, da semplici artigiani meccanici, si trasformassero in imprenditori. Infatti, permi sero loro non solo di riparare ma anche di “riprodurre” i macchinari tedeschi e poi americani presenti nelle fabbriche della città, così da diventare personifi cazione dell’idea schumpeteriana 19 dell’imprenditore-innovatore, capace sia di introdurre continue migliorie tecniche nei propri prodotti 20 sia di individuare nuovi mercati di sbocco. Si compiva in questo modo il passaggio dal “saper come fare” al “saper cosa fare”, formulazioni felici con cui Gian Carlo Cainarca ha saputo delineare lo sviluppo dell’industria meccano-calzaturiera italiana, insieme all’emergenza di precise competenze imprenditoriali. Su questa pluralità di voci e percorsi d’analisi, l’autobiografia d’impresa costituisce certo uno scarto sia rispetto al determinismo implicito in quelle indagini che ruotano attorno al paradigma struttura – condotta – performance 21 , sia rispetto a un algido confronto dei risultati raggiunti da Atom con le analisi statistiche dell’andamento subìto dal comparto meccano-calzaturiero nel corso dei decenni. Progetti, speranze, anche delusioni, nutriti in quasi settant’anni, hanno da to vita per Atom a quella celliniana “virtù” che bene può essere illustrata da un autoritratto che, proprio del presente, costituisce la ragione e la necessità di un’indagine retrospettiva, con quelle costruzioni temporali complesse che l’autobiografia sa ben usare 22 , e che, comunque, nel caso di un’azienda, devono avvalersi di una trascrizione neutra, se non notarile, che lascia campo all’epica d’impresa solo nel ritratto dovuto ai tre fondatori. Ritratto che non resta soltanto tappa iniziale di una traiettoria di ricostruzione della storia del brand , ma che permette anche di evidenziare i contesti valoriali che ne hanno accompagnato l’affermazione. Sicché, la “lunga marcia” in Europa, Brasile, Stati Uniti, India e Cina, con la sua complessità e la sua evoluzione, resta occasione per riflettere su come Atom, come altre centinaia di imprese, abbia decisamente trasformato il pro prio mercato di nicchia, espandendolo oltre i confini consueti. Anche in questa prospettiva si ha testimonianza evidente di quel processo che è andato svilup pandosi dentro e fuori dai distretti industriali, legato non soltanto al “made in Italy”, ma soprattutto alla produzione di macchinari adattabili a una varietà di settori merceologici, il cui vantaggio competitivo non è basato sui margini di

24

profitto sul costo del lavoro, bensì “on fast technological adaptation, innovative design, quality control, costumer-oriented flexible supply” 23 . Così, l’avventura di Atom si presenta, per il vero, significativa perché, a proprio modo, riproduce e adatta su nuove misure quel processo che, a partire dagli anni Cinquanta, ha segnato “the emergence of a domestic machinery in dustry, tailored on the needs of the users” quale “crucial competitive factor for Italian industry” 24 , avventura sempre scandita da strategie industriali suggerite da precise dinamiche di mercato, incarnando, però, valori e comportamenti che hanno fatto la storia dell’azienda 25 . 1. Per il vero, della distinta posizione assunta da Atom nel campo delle macchine per il taglio in dustriale e soprattutto nel settore meccano-calzaturiero si trova notizia anche in una pubblicazione curata pochi anni or sono dalla sede ice di Chicago: “The district around Vigevano (province of Pa via), for exemple, specializes in the production of machinery for shoemaking, giving rise to a pool of companies that specialize in computer-assisted design and manufacturing systems (cad/cam). This provides footwear makers with the experience and capabilities of design software that was first created for the manifacturing environment. Companies such as Atom [...] have perfected original, cutting-edge systems that are currently being used by most of the biggest names in Italian shoemaking”, cfr. The Italian edge. Technology for excellence , Italian Trade Commission Chicago Office, Chicago 2009, p. 78. 2. R. Weigl, Technik und Maschinen in der Schuhindustrie. Eine grundlegende Darstellung der Be treibsorganisation und -einrichtung , Alfred Hüthing Verlag, Heidelberg und Frankfurt 1958. 3. Nel 1992, ad esempio, Atom deteneva circa 85% del mercato italiano delle macchine per taglio, e circa 65% del mercato mondiale, dati che non si modificano di molto tre anni più tardi quando la quota produttiva del settore meccano-calzaturiero italiano dedicata alle esportazioni raggiungerà il 70% della produzione totale (Fonte: dati assomac). 4. M. Bellandi, “Terza Italia” e “distretti industriali” , in Storia d’ Italia. Annali 15. L’industria , a cura di F. Amatori, D. Bigazzi, R. Giannetti e L. Segreto, Einaudi, Torino 1999, p. 845. In effetti, il caso Atom, almeno per il settore meccano-calzaturiero, sembra altresì contraddire l’affermazione generale di Mi chael Porter che in un settore produttivo frazionato – in cui, come osserva, “sono presenti molte imprese di piccole e medie dimensioni, a base famigliare, e non quotate in borsa” – “il carattere differenziale della concorrrenza è dato dall’assenza di un leader di mercato”, cfr. M. Porter, Strategia competitiva. Analisi per le decisioni , Edizioni della Editrice Compositori, Bologna 1980, p. 177. Tale affermazione, in verità, è stata fatta propria da Riccardo Lanzara nella descrizione da lui approntata della filiera pelle-cuoio-calzature come “caratterizzata da imprenditorialità diffusa a causa della presenza di un elevato numero di soggetti economici con proprie caratteristiche strutturali e specificità funzionali”, e il processo di trasformazione delle pelli articolato in “piccole unità produttive specializzate in una o poche fasi di lavorazione”, cfr. R. Lanzara, I rapporti strategici con le imprese conciarie , in Il sistema delle imprese calzaturiere. Struttura e strategie competitive , a cura di R. Varaldo. Prefazione di R.D. Buzzel, Giappichelli, Torino 1988, pp. 242 e 245. Altra valenza ha invece l’osservazione avanzata da Roberta Virtuani, Il settore macchine per calzature , saggio pubblicato in Il sistema economico della Lomellina. Una ricerca e un convegno , a cura di D. Velo, Fondazione per gli interventi sociali della Cassa di Risparmio di Piacenza, Vigevano 1989, p. 16, che, di fronte alla “polverizzazione” del settore, nella tavola 5, Indici di concentrazione nel settore macchine per calzature in pelle e cuoio negli anni 1981 e 1987, per il 1981 riconosce all’azienda leader una quota pari al 45,6% del totale. Per una precisa ricostruzione della storia Note

un’autobiografia

25

del settore, oltre ai contributi (e alla bibliografia in essi richiamata) di Gioacchino Garofoli inclusi nel capitolo v, Lo scenario e il suo contesto: distretto vigevanese e settore meccano-calzaturiero. Per una lettura critica , di questo stesso volume, si vedano altresì l’importante studio di G.C. Cainarca, Dal saper come fare al saper cosa fare. La storia dell’industria italiana delle macchine per calzature 1900-1983 , Edizioni Assomac, Vigevano 2002, e la ricerca di M. Della Valle, Il settore macchine per calzature , apparsa nel volume, pubblicato da Confindustria-Assolombarda, Competizione e crescita delle imprese sul mercato europeo , a cura di F. Onida, Sipi, Roma 1990, pp. 263-284. 5. Ancora nel 1989 Roberta Virtuani riconosceva nel comportamento strategico adottato dalla quasi generalità delle imprese meccano-calzatuiriere vigevanesi la permanenza della “misura breve”, scandita da “azioni estemporanee anziché conformata a un piano finalizzato al raggiungimento di prefissati obbiettivi”, cfr. R. Virtuani, Il settore macchine per calzature , pubblicato in Il sistema economico della Lomellina. Una ricerca e un convegno , cit., p. 32. 6. Se nel suo complesso il settore macchine per calzature tradizionali, nel 1989, poteva essere presentato da Roberta Virtuani in “una fase di sviluppo relativamente maturo” (ivi, p. 17), l’avvento delle tecnologie informatiche ha permesso una decisa rivitalizzazione del sottosettore macchine per taglio, sicché resta vero che le imprese, come nel caso di Atom, che “per prime realizzarono l’inno vazione di prodotto [ ovvero l’incorporazione della tecnologia informatica ] sono quelle di maggiori dimensioni e che pertanto correlano la quota di mercato elevata nel segmento a una posizione di leadership tecnologica”, ivi, p. 33. 7. Per tale caratterizzazione si veda A. Colli, Capitalismo famigliare , il Mulino, Bologna 2006, p. 53. 8. Se la storia dell’impresa in Italia è stata “fortemente caratterizzata da ricerche che hanno come oggetto gli imprenditori” – così ricordava Duccio Bigazzi nella Presentazione al volume da lui curato: Storia di imprenditori , Fondazione assi/il Mulino, Bologna 1996, p. 7 –, l’autobiografia che qui si presenta tende piuttosto a porsi come “tappa di avvicinamento” alla storia di Atom come sviluppo di un’organizzazione connotata da un approccio sempre più spersonalizzato e sistemico sia nei confronti del processo produttivo sia nei confronti del mercato. Per una autobiografia di un grande imprenditore nel settore prossimale della calzatura, seppure nel distretto veneto, si veda, ad esempio, di Luigino Rossi, La filosofia della scarpa , a cura di F. Jori, Edizioni Biblioteca dell’ Immagine, Pordenone 2007. 9. B. Cellini, La vita , in Id., Opere , a cura di G.G. Ferrero, con un profilo della Vita celliniana a cura di F. Carrara, Utet, Torino 1971, p. 59. 10. Narrazione dell’esemplarità piuttosto che dell’eccezionalità del percorso storico di Atom, la ricerca svolta in questo volume si avvale altresì della prospettiva “constestualizzante” della biografia, in cui le traiettorie del singolo individuo sono riconosciute nel e per il loro ambiente formativo e per lo specifico ambito d’azione: sui caratteri e le funzioni che la biografia può assumere si veda il saggio di G. Levi, Les usages de la biographie , in “Annales esc”, 1989, n. 6, pp. 1325-1336. 11. Su tali caratteristiche dell’autobiografia ancora importante resta il saggio di J. Starobinski, Le style de l’autobiographie , in “Poétique”, 1970, pp. 259-262. Redazione di un’autobiografia, dunque, e non un’operazione mitografica resta la ricerca che qui si presenta, ben distinta dalla pratica di in ventar “storie su se stessi per poi raccontarsele”, che Michael Blim ritrova invece nei comportamenti antropologici che caratterizzano l’imprenditoria calzaturiera marchigiana, cfr. M. Blim, Il paese degli scarpari , in Storia d’ Italia. Le regioni dall’Unità a oggi. Le Marche , a cura di S. Anselmi, Einaudi, Torino 1987, p. 668. Sull’esercizio mitografico importanti restano le considerazioni di E. Bernhard, Mitografia , Adelphi, Milano 1996, e le considerazioni di G. Sapelli, Postfazione. Mitobiografia per le scienze sociali , in Giannino Bassetti. L’imprenditore raccontato , a cura di R. Garruccio e G. Maifreda, Rubbettino, Soveria Mannelli 2004, pp. 261-264. 12. Per la precisa analisi di tale triangolazione funzionale è d’obbligo il rimando al bel volume di G.C. Cainarca, Dal saper come fare al saper cosa fare. La storia dell’industria italiana delle macchine per calzature 1900-1983 , cit., cap. iv, L’industria italiana delle macchine per calzature nel dopoguerra . 13. Cfr. M. Guglielminetti, Memoria e scrittura. L’autobiografia da Dante a Cellini , Einaudi, Torino, 1977, p. vii, ove è riportata a epigrafe tale affermazione del grande critico letterario russo Bachtin tratta

26

dal volume a opera di G. Luckács, M.M. Bachtin e altri, Problemi di teoria del romanzo: metodologia letteraria e dialettica storica , a cura di V. Strada, Einaudi, Torino 1976, p. 205. Proprio questa dimensione autobiografica può fornire prospettive di indagine parallele a quell’analisi dei comportamenti degli attori individuali che alcune recenti ricerche intendono far emergere nello studio dei distretti, le cui dinamiche, non a caso, “sono state per lo più spiegate facendo riferimento invece all’operare delle istituzioni e alla strutturazione delle relazioni tra attori collettivi o tra categorie di attori individuali”. La narrazione au tobiografica seziona con forza, insomma, quella propensione a leggere il contesto distrettuale attraverso un’ottica d’assieme, e permette, anzi, di cogliere rotture e discontinuità che le specifiche strategie aziendali hanno saputo perseguire; una attenta riflessione sulla promozione e gestione del cambiamento nella vita del distretto vigevanese nel corso dei primi anni Duemila si legge nel volume Distretti e strategie di uscita dalla crisi. Attori e istituzioni nei processi di policy-making, a cura di I. Regalia con contributi di C. Tajani e S. Marino, Bruno Mondadori, Milano 2011, la citazione è tratta da p. 117. 14. “Voleva venire lui padrone. Mettere in piedi un fabbrichino, fare una produzione di una mezza dozzina di dozzine il giorno, tanto per cominciare. Davanti aveva esempi che parlano da soli. Gente magutta che col lavoro il risparmio e un po’ di culo s’era fatta fabbrica e casa e macchina. Padroni che dal banchetto sono venuti su, come padron Bertelli: che era più che povero, uno zingaro, e adesso fa lavorare dei cinquanta operai, delle cento giuntore. [...] Foresti e terroni che [...] seguitano sgonfiarsi le sacocce e ingrandirsi. Gira la manopola la musica è sempre una: dané fanno dané. E altri ce n’erano ma quelli hanno il culo che metterlo fuori dalla finestra nascono funghi; più culo che anima. Oltre non saper dare una martellata senza darsela sul dito e dir grazie a Dio, non sapevano scernere pel di vitello da pel di scagnello. E ci va bene! Interessi da chilo”, cfr. L. Mastronardi, Il calzolaio di Vigevano , in Id., Il maestro di Vigevano – Il calzolaio di Vigevano – Il meridionale di Vigevano , Introduzione di G. Tesio. In appendice scritti di I. Calvino e G.C. Ferretti, Einaudi, Torino 1994, p. 212. Come è noto, Il calzolaio di Vigevano venne edito da Einaudi nel 1962, in pieno boom economico, dopo che sulla rivista letteraria “Il menabò” ne era stata pubblicata un’anticipazione nel primo numero del 1959. Importante a tale proposito resta sicuramente l’intervento di D. Velo, Economia e società nella Vigevano di Mastronardi , in occasione del convegno che sull’Autore si tenne a Vigevano nel 1981, i cui Atti, Per Mastronardi , La Nuova Italia, Firenze 1983, hanno la prefazione di Maria Corti. Nella conclusione pur riconoscendo come “il nostro Autore abbia colto alcuni aspetti importantissimi dell’esperienza vigevanese”, Velo sottolineava come “al tempo stesso [Mastronardi] non abbia fatto giustizia di altri aspetti pur qualificanti”: “Il cosmopolitismo, la capacità innovativa, l’apertura ai valori della società industriale caratterizzano gli imprenditori vigevanesi ‘reali’ molto più di quanto caratterizzino gli imprenditori attori sulla scena della Vigevano di Mastronardi”, ivi, p. 89. Tuttavia, che l’opera di Mastronardi possa essere ritenuta una sorta di text-book per comprendere la natura dei fenomeni sociali ed economici dei sistemi produttivi locali nell’ Italia degli anni Cinquanta e Sessanta, text-book redatto con ben altra e più acuta sensibilità rispetto a quella dispiegata dai coevi studi di economia, è giudizio che ricorre anche in A. Colli, I volti di Proteo. Storia della piccola impresa in Italia nel Novecento , Bollati-Boringhieri, Torino 2002, p. 37. 15. G. Bocca, Miracolo all’italiana , Edizioni “Avanti”, Milano 1962, p. 7.Vale considerare che questo capitalismo esuberante e inordinato veniva a contrassegnare un periodo storico in cui nella politica nazionale avviata al centro-sinistra, per altro poco attenta alla piccola impresa, si stava affermando, per converso, la linea della programmazione economica (cfr. in particolare U. La Malfa, Verso una politica di piano , Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1962). Per altro, l’opportunismo quale logica industriale “condivisa in egual misura dall’imprenditore e dall’operaio” è stata caratteristica di altre esperienze distrettuali prossime, per settore produttivo, a quella vigevanese. Si legga, ad esempio, quanto scrive Michael Blim per le Marche: “la logica industriale, condivisa in egual misura dall’im prenditore e dall’operaio, privilegia l’opportunismo rispetto alla pianificazione, la massimizzazione dei profitti di contro agli investimenti e la conversione dei margini di profitto in beni di prestigio che elevano la posizione sociale della famiglia”, cfr. M. Blim, Il paese degli scarpari , in Storia d’ Italia. Le regioni dall’Unità a oggi. Le Marche , cit., p. 661.

un’autobiografia

27

16. “Di abitanti cinquantasettemila, di operai venticinquemila, di milionari battaglioni affiancati, di librerie neanche una”, cfr. G. Bocca, Mille fabbriche nessuna libreria , in “Il Giorno”, 14 gennaio 1962, p. 6. Proprio Mastronardi, in Il maestro di Vigevano , aveva saputo tracciare con precisione l’antitesi che correva in città tra cultura e processo produttivo esemplificandola nel confronto tra il maestro Mombelli, tutto dedito al mito della cultura, e sua moglie Ada, la cui aspirazione al benessere non a caso si concretizzava nell’apertura di un calzaturificio, assurto a simbolo e a garanzia di status ; su questi temi si vedano le osservazioni di L. Farinotti, L’officina del visibile: tracce dell’immaginario cinematografico lombardo , in Storia d’ Italia dall’Unità a oggi. La Lombardia , a cura di D. Bigazzi e M. Meriggi, Einaudi, Torino 2001, p. 1116. 17. Pressoché ineludibile allorché si venga a riflettere sulla vita dei distretti, la formula usata da Al fred Marshall per descrivere nei Principles of Economics (1890) i vantaggi della contiguità spaziale tra imprenditori che tale sistema locale di produzione assicura – “Great are the advantages which people following the same skilled trade get from near neighborhood to one enother. The Mysteries of the trade become no mysteries; but are, as it were, in the air” –, ricorre da ultimo anche in relazione alla situazione vigevanese in I. Regalia, Introduzione. A proposito di innovazioine e politiche per far fronte a crisi produttive , in Distretti e strategie di uscita dalla crisi. Attori e istituzioni nei processi di policy making, cit., p. 11. Ancora importante resta l’analisi di quanto Marshall abbia scritto sul distretto fornita da M. Bellandi, Il distretto industriale in Alfred Marshall , in “L’industria”, 3, 1982, ma si veda soprattutto il volume di G. Beccatini, Industria e carattere. Saggi sul pensiero di Alfred Marshall , Le Monnier Università – Mondadori Educational, Milano 2010. 18. L’importanza della formazione tecnica impartita dai due istituti professionali agli imprenditori meccanici vigevanesi viene sottolineata da S. Biscossa, Storia dell’industrializzazione a Vigevano (1743 1985). Parte prima. Gli imprenditori , Associazione Vigevanese Industriali e Camera di Commercio di Pavia, Pavia 1985, p. xxxv: “Questa impegnativa attività trovava un valido supporto in severi studi, compiuti in due scuole tecniche cittadine, gli istituti Roncalli e Negrone, e maturava nell’esperienza pratica agevolata dai calzaturifici”. Più in generale, si vedano le attente indicazioni sulle istituzioni vigevanesi che offrivano formazione tecnica contenute in P. Sabbattucci Severini, Ambiente industriale e istituzioni: Vigevano e i paesi del Fermano , in Istituzioni intermedie e sviluppo locale , a cura di A. Arrighetti e G. Seravalli, Donzelli, Roma 1999. Per il vero, A. Mutti e M. Rostan, Le catene di fiducia particolaristica nel distretto delle macchine per calzature di Vigevano , in “Rassegna Italiana di Socio logia”, xlvi, 2005, p. 45, riportano “tra gli imprenditori ex studenti dell’ Istituto Roncalli” il nome di Lorenzo Gaia, uno dei tre soci fondatori di Atom. L’importanza di una più recente offerta formativa che istituzioni scolastiche vigevanesi hanno sviluppato sul territorio anche a favore del comparto meccano-calzaturiero è stata giustamente richiamata da S. Marino, Azione individuale e collettiva a Vigevano per uscire dalla crisi: un rinnovamento solo a metà? , in Distretti e strategie di uscita dalla crisi. Attori e istituzioni nei processi di policy-making, cit., p. 73: “In particolare, l’istituto tecnico industriale, fondato a Vigevano nel 1965, si arricchisce di un biennio di specializzazione in meccanica nel 1976 e di un corso di elettronica nel 1985”. Un importante contributo all’analisi del rapporto che lega il sistema formativo nel suo complesso al sistema produttivo, con particolare riguardo alla situazione del Vigevanese, si legge in L. Rosti, Sistema formativo e sistema produttivo , in Il sistema economico della Lomellina. Una ricerca e un convegno , cit., pp. 97-121. 19. Cfr. J.A. Schumpeter, La figura sociale dell’imprenditore , in Schumpeter. Antologia di scritti , a cura di M. Messori, il Mulino, Bologna 1984, pp. 123-139. 20. Cfr. G.C. Cainarca, Dal saper come fare al saper cosa fare. La storia dell’industria italiana delle macchine per calzature 1900-1983 , cit., p. 116: “per dirla con la formula suggestiva utilizzata dall’im prenditore Terenzio Bianchi “ si copia, ma si progetta ” che nel suo caso vuole esprimere il ricono scimento per il debito acceso nei confronti di una macchina prodotta dalla tedesca Desma e, nel contempo, sottolineare l’introduzione di elementi di differenziazione”. 21. Si veda in particolare il volume di F.M. Sherer, Economia industriale , Franco Angeli, Milano 1985.

28

22. Come ricorda Pierre Bourdieu, “On est sans doute en droit de supposer que le récit autobio graphique s’inspire toujours, au moins pour une part, du souci de donner sens, de rendre raison, de dégager une logique à la fois rétrospective et prospective, une consistance et une constance, en établissant des relations intellegibles, comme celle de l’effect à la cause efficiente ou finale, entre les états successifs, ainsi constitués en étapes d’un developpement nécessaire” – operazione invero che si esplica “en sélectionnant, en function d’une intention globale, certains événements significatifs et établissant entre eux des connexions propre à leur donner cohèrence”–, nondimeno non si può non convenire con Alain Robbe-Grillet, a cui per altro si richiama lo stesso Bourdieu, sul fatto che “le réel est discontinu, formé d’élements juxtaposés sans raison dont chachun est unique, d’autant plus difficiles à saisir qu’ils surgissent de façon sans cesse imprévue, hors de propos, aléatoires”, cfr. P. Bourdieu, L’il lusion biographique , in “Actes de la recherche en sciences sociales”, 62-63, 1986, pp. 69 e 70; il rimando è tratto da A. Robbe-Grillet, Le miroir qui revient , Éditions de Minuit, Paris 1984, p. 204. 23. Per tali caratteristiche si veda G. Berta e F. Onida, Old and New ItalianMultinational Firms , paper presented at the Conference “Italy and the World Economy, 1861-2011”, Rome, Banca d’ Italia 12-15 October 2011, “Quaderni di Storia Economica. (Economic History Working Papers)”, 15, p. 46. 24. F. Barbiellini Amidei, J. Cantwell and A. Spadavecchia, Innovation and Foreign Technologies in Italy, 1861-2011 , paper presented at the Conference “Italy and theWorld Economy, 1861-2011”, Rome, Banca d’ Italia 12-15 October 2011, “Quaderni di Storia Economica. (Economic History Working Papers)”, 7, p. 29. 25. In tale prospettiva, l’autobiografia di Atom può forse essere utile, come si vedrà nei capitoli succesivi, a fornire indicazioni per cercare di portare alla luce “le tappe principali e le determinanti del processo di crescita e di diversificazione delle attività” di una media impresa, che, come riconosce Andrea Colli, “rimangono oscure nella maggior parte dei casi”, cfr. A. Colli, Il quarto capitalismo. Un profilo italiano , Marsilio Editori, Venezia 2002, p. 87.

un’autobiografia

29

I tre fondatori. Un ritratto greta m. baCCini

“L’impresa” atom

Se unissimo immaginari punti sulla pianta della città di Vigevano, tracciando una linea che parta da via Roma e passi per vicolo San Giacomo, che tocchi via della Costa e via Ristori per arrivare a via Morosini, se lo facessimo, apparirebbe una stilizzata, imponente lettera A . Per dimostrare che il disegno di una grande “impresa” è stato tratteggiato, pazientemente, durante sessantacinque anni di avvenimenti e attraverso cinque storiche sedi. Ma, soprattutto, ha preso vita, forma e consistenza grazie a tre giovani uomini e un unico intento: lavorare insieme. Emiliano Cantella, Luciano Deambrosis, Lorenzo Gaia: una sorta di trilogia vigevanese che ha fatto storia. La storia di Atom. Era il primo dopoguerra. C’era la città, Vigevano, dove si lavorava, e c’era la provincia, alla quale volersi riavvicinare. C’era il bar, alla sera, dove incontrarsi e parlare del futuro. Un futuro da costruire insieme. I tre, non ancora ventenni, avevano trovato occupazione a Milano, chi alla Borletti, chi in una ditta che produceva ferri da trancia, chi in un’officina nei pressi di corso Lodi, ma avevano voglia di lavorare insieme, nella loro Vigeva no, e si dice che questa fosse stata la vera spinta propulsiva a portarli verso una prima importante decisione. La ricerca di un posto di lavoro a Vigevano si concretizzò ben presto in una vera e propria proposta di assunzione: una assunzione, ma per uno solo di loro. Il “no” fu coraggioso. Del resto erano in tre e se non ci fosse stato qualcuno disposto ad assumerli tutti, loro avrebbero trovato un’altra soluzione. Forse la più spregiudicata, ma di certo la più lungimirante. I ragazzi di via Roma

Iniziò così la storia di quella che sarebbe diventata la Atom; iniziò con un “no, grazie!” che sarebbe diventato espressione e simbolo di una coesione indis solubile e di una forma mentis che non avrebbe lasciato spazio a compromessi. Mai, neppure agli inizi, quando tutto andava creato dal nulla. Così, probabil mente proprio al tavolino di quel bar di piazza Ducale, i tre giovani decidevano di offrirsi una chance , di essere diretti fautori di nuovi progetti e di creare una loro attività in grado di soddisfare le necessità del momento: offrire riparazione e creazione di pezzi di ricambio per i macchinari prodotti all’estero e installati nei calzaturifici vigevanesi. Mentre in ogni parte del mondo, per antica consuetudine, un uomo si valuta, sia pur approssimativamente, con un’occhiata dalla testa ai piedi, qui a Vigevano l’occhiata si ferma ai piedi. Perché ognuno qui a Vigevano porta le scarpe che può, che deve e che merita. Inizia così il film in cui Alberto Sordi veste i panni di Antonio Mombelli, il maestro creato dalla penna di Lucio Mastronardi 1 . Pagine e pellicola rac contano infatti di come la città, a suo tempo, cominciasse a caratterizzarsi come nucleo attivo e prolifico per la produzione di scarpe. Quindi eccola, la possibilità; ecco la determinazione e la fiducia l’uno nell’altro che permettono di cogliere l’occasione: nasce la Atom – Associazione Tecnici e Operai Mecca nici – con un tornio, in un piccolo locale domestico, un seminterrato di soli venticinque metri quadrati nell’allora via Roma. Era il 1946. E se ne Il maestro di Vigevano di Lucio Mastronardi lo sviluppo dell’industria e la vita familiare si intrecciavano tanto da dipendere l’una dall’altra, in un certo qual modo i tre giovani amici hanno rappresentato un punto di rottura, scardinando quel meccanismo e tenendo impresa e famiglia sempre ben separati. Qualcuno sorride nel sentir raccontare che le mogli dei tre fondatori sono entrate per la prima volta in azienda solo nel 1996, e in occasione della messa officiata dal Vescovo, monsignor Giovanni Locatelli, per celebrare il cinquantesimo anniversario della nascita della Atom; ma questo fatto è esemplificativo delle scelte e della mentalità dei tre. Oneri e onori, presenti e futuri, sarebbero sempre rimasti una questione professionale. Nessuna ingerenza, nessuna forzatura, nessuna prevaricazione; solo loro tre e il collante che li univa, ieri come oggi: un amalgama di valori e personalità, di condivisione degli ideali e di collaborazione. Una compattezza che li avrebbe portati lontano, a valicare i confini italiani, a essere conosciuti e riconosciuti in tutto il mondo per il loro lavoro e i loro risultati, tant’è che in molti paesi per indicare “la trancia” si dice semplicemente “una Atom”. Certo, non sono mancati chiarezza di idee, orgoglio e fermezza d’intenti, prerogative che li avrebbero condotti nel giro di un anno ad affittare un ca-

32

Made with FlippingBook Digital Publishing Software